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America, la triplice sfida

Impegno militare, competizione cinese e deficit strutturale con l’estero

Il prossimo anno, il 2018, si commemorerà, o si celebrerà, a seconda che ci si trovi dalla parte degli Sconfitti ovvero dei Vincitori, il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale. Finì nel 1918, infatti, quella che Benedetto XV definì “l'inutile strage”.

La gran parte degli storici sostiene che il Novecento politico cominciò nel 1918. E fu un Secolo Americano, con la progressiva eclisse della Gran Bretagna e della Sterlina e la Germania sconfitta due volte.

Nel 1948, con la Carta delle Nazioni Unite approvata a New York, gli Usa stabilirono le istituzioni globali che segnavano il suo dominio geopolitico nell'Occidente: il FMI, la BMI, il GATT, ed i cambi valutari legati tutti al dollaro che rimaneva l'unica moneta convertibile in oro, erano i presidi politici, finanziari ed economici. Rimaneva la sfida con l'URSS, che si dissolse dopo la caduta del Muro di Berlino, nel 1989.

La fine del Comunismo sovietico venne assimilata alla Fine della Storia, perché anche la Cina di Deng Xiao Ping aveva esortato i cinesi ad arricchirsi: il capitalismo era diventato globale, come i commerci. L'ingresso della Cina nel Wto segna il più grande rivolgimento economico dalla scoperta dell'America, con un miliardo di persone che si improvvisamente entrano nel mercato di massa.

L'America di Reagan, negli Anni Ottanta. si era illusa: allora, l'obiettivo era di abbandonare la manifattura, la Old Economy che ne aveva fatto ricca e prospera la classe lavoratrice, per abbracciare le promesse della New Economy. La manifattura sarebbe stata appannaggio dei Paesi emergenti, Cina, India e Paesi dell'Europa dell'Est, che avevano bassi costi del lavoro ed un welfare pubblico poco costoso: i consumatori di tutto il mondo se ne sarebbero avvantaggiati. L'America avrebbe rinnovato la sua grandezza con l'informatica e le telecomunicazioni: Internet era il paradigma della nuova rivoluzione industriale.

Mai previsione fu più sbagliata: perché su Internet non c'è una scambio immediato e diretto tra bit ricevuti e denaro. Si accede alla più grande infrastruttura mai creata prima, usufruendo di notizie, video, servizi e contenuti, senza che ci sia un pagamento corrispondente. E' stata la più grande operazione di collettivizzazione del sapere, della cultura e della capacità di scambio di informazioni, dalla invenzione della stampa a caratteri mobili. Le società di telecomunicazioni sono deperite: forniscono in concorrenza l'accesso alla rete, ma il controllo di questa è stato assunto da pochi soggetti che operano Over the Top. Quando si parlava del modello di business, agli inizi degli Anni Novanta, si ipotizzava di poter tariffare ogni singola mail inviata, ogni singolo click di accesso ad un sito. Si immaginava che i clienti di Internet non sarebbero mai potuti uscire dal Portale dell'ISP a cui erano abbonati. Quel modello economico non si è mai materializzato: la natura anarchica ed incontrollabile di Internet ha reso impossibili limiti e vincoli: quando si entra nella Rete, si naviga dove si vuole. E, poi, quando ci si trova in un sito che fornisce notizie solo a pagamento, si va a cercarle da un'altra parte. Questa è stata la grande disruption dei sistemi di business tradizionali, basati su supporti materiali, come i giornali o la musica.

La crescita della Cina, che è diventata la seconda potenza economica del pianeta, è stata la rivincita della manifattura. La crisi americana del 2008, invece, ha dimostrato come la enorme potenza di Internet non sia facilmente segregabile in termini economici da parte dei singoli fornitori di contenuti, ma solo per la fornitura di servizi come l'e-commerce o l'home-banking. Ma, anche in questo caso, entra in crisi una intera struttura tradizionale di distribuzione e di organizzazione.

Internet ha invece un valore immenso in termini di controllo sociale attraverso la conoscenza delle abitudini degli utenti, tanto da superare in peggio gli incubi del controllo globale del Grande Fratello immaginato da George Orwell. Ma i singoli cittadini americani non ne beneficiano affatto.

Con la crisi del 2008 è emersa la debolezza economica americana: risorse enormi del bilancio federale sono state destinate alla Difesa, alle guerre geopolitiche combattute in Afganistan, in Irak, ed in tutto lo scacchiere mediorientale, senza alcun beneficio concreto per i cittadini americani e le loro industrie, fatta eccezione per quella degli armamenti.

Il debito americano verso il resto del mondo si è ingigantito. Nel solo periodo gennaio-ottobre di quest'anno, il passivo commerciale è arrivato a 463 miliardi di dollari. Verso l'Unione europea è stato di 121 miliardi di dollari, di cui 53 miliardi verso la Germania. La posizione finanziaria netta americana verso l'estero, alla fine del secondo trimestre di quest'anno, è arrivata a -7.935 miliardi di dollari, una cifra pari al 41% del pil. Il saldo negativo è moltiplicato per quasi quattro volte dopo la crisi, visto che nel 2006 era di soli -1.808 miliardi di dollari. L'America non può più crescere a debito le servono più lavoro all'interno e più equilibrio nel commercio con l'estero. Non può permettersi una nuova crisi finanziaria, neanche la più piccola.

L'elezione alla Presidenza degli Usa di Donald Trump, il candidato antisistema che è riuscito a battere contro ogni pronostico Hillary Clinton, l'idolo dei media e del big-business, ha segnato una svolta precisa. Una larga parte della classe operaia e soprattutto la maggioranza della classe media vogliono lavoro, ben pagato, e non precarietà ed assistenza. Vogliono che non sia solo l'America a pagare per la sicurezza globale, e soprattutto vogliono ritornare a comprare con i soldi del salario e non quelli presi a prestito in banca.

Ecco, quindi, il primo ribilanciamento voluto da Trump: dal Giappone alla Corea del Sud, dalla Cina alla Germania, non è tollerabile che continuino ad accumulare avanzi commerciali strutturali con gli Usa. Non possono essere Paesi che pensano solo a vendere, senza comprare altrettanto. E la ulteriore apertura dei mercati ipotizzata dal suo predecessore Barack Obama, che aveva messo in piedi le trattative parallele sul versante del Pacifico e dell'Atlantico per stipulare i Trattati TPP e TTIP, sarebbe stata un ennesimo cavallo di Troia: mentre le grandi corporation americane avrebbero continuato ad arricchirsi, il popolo americano avrebbe continuato a vedere solo le briciole. Donald Trump ha quindi ritirato la adesione già data al TPP ed ha bloccato ogni ulteriore trattativa per il TTIP.

La riforma fiscale appena approvata dal Congresso di Washington, con una perdita di gettito di circa 1400 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, serve a fare ripartire insieme sia la domanda sia la produzione interna: sono state abbattute sia le aliquote sui redditi delle persone fisiche sia le imposte sugli utili delle società. L'obiettivo è di rendere nuovamente conveniente la produzione negli Usa. Le multinazionali americane, poi, non potranno più continuare ad essere esonerate dal pagamento delle imposte USA fino a che non rimpatriano gli utili fatti all'estero: si tratta di circa 2.500 miliardi di dollari, custoditi nei vari paradisi fiscali.

La Cina, in questi anni, ha fatto enormi progressi, accumulando attivi commerciali per migliaia di miliardi di dollari. Ha intrapreso una iniziativa strategica, la BRI (Belt & Road Initiative), conosciuta anche come la Nuova Via della Seta, che si snoderà per tutta l'Asia, arrivando fino all'Europa. Non si tratta di un progetto logistico, anche se ferrovie, porti ed infrastrutture di trasporto saranno essenziali, ma di una espansione della presenza globale cinese: è una sorta di Piano Marshall, che serve a creare rapporti di familiarità e quindi di dipendenza.

C'è un primo aspetto, che riguarda l'impegno militare americano sul piano globale. Le guerre in tutto l'Oriente, dalla caduta dello Scià di Persia nel 1978 fino all'assedio ai santuari terroristici dei Talebani di Osama Bin Laden, iniziato dopo l'attentato alla Torri gemelle del 2001, hanno assorbito enormi risorse economiche ed altrettanto impegno politico. Dopo essere stata per anni il solo Gendarme del mondo, si ridisegnano ora nuovi equilibri con la Cina e la Russia, mentre l'Europa è in grande difficoltà politiche.

C'è poi la competizione con la Cina, che non è solo economica, ma geopolitica a livello globale.

Infine, è necessario riassorbire il deficit strutturale dei rapporti commerciali con l'estero. La crescita americana non può più essere basata sul debito, interno ed estero, anche perché sta venendo meno il privilegio del dollaro, e la possibilità di accrescerne continuamente e senza problemi la circolazione.

Impegno militare globale, competizione cinese e deficit strutturale con l'estero.

America, la triplice sfida.



(Foto: Pete Linforth / Pixabay)
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