Partite gemelle, nel centro sinistra di Italia e Germania.
Dopo un pessimo risultato elettorale a settembre scorso, Martin Schultz, il Segretario dell'Spd, proclamò a gran voce che non si sarebbe più fatto un governo di coalizione con la Cdu-Csu di Angela Merkel. Ma, dopo il fallimento delle trattative tra quest'ultima, il partito liberale tedesco Fpd ed i Verdi, l'Spd è ritornata al tavolo. Si è formato ancora una volta un governo coalizione con la Cdu-Csu, varato dopo sette mesi di colloqui. Schultz, dimessosi dopo aspre polemiche, è stato rimpiazzato da Olaf Scholz alla guida del partito: doppia sconfitta.
Per l'Spd, la alternativa era chiara: stare all'opposizione, di fronte alla tendenza dell'elettorato tedesco a votare per i due partiti di destra, Fpd ed AfD, sarebbe stato un lento ma sicuro cammino verso la irrilevanza politica. Alle prossime elezioni, sarebbe scomparso. Andando al governo, invece, mantiene posizioni di potere rilevanti, acquisendo anche il Ministero delle finanze gestito per anni da Wolfgang Schaeuble, che è passato alla Presidenza del Bundestag da dove controllerà tutta la attività legislativa. Insomma, meglio stare al governo, seppure come socio di minoranza, che starne fuori e scomparire subito dalla scena politica.
Al Pd sta accadendo qualcosa di analogo: dopo il pessimo risultato alle elezioni del 4 marzo, il Segretario Matteo Renzi ha annunciato le dimissioni, senza però essere sostituito subito nell'incarico: c'è un reggente, fino al rinnovo della carica. Anche Renzi era stato chiaro: mai con il M5S. Gia prima delle elezioni, 1° febbraio, intervenendo a Porta a Porta, aveva dichiarato: "A parte che correre dietro a quello che dice Di Maio ti fa venire il mal di testa, non si capisce cos'è il centrodestra, è una discussione lunare. Noi con gli estremisti non andremo mai". Ed invece, così come è accaduto in Germania, ci sono state lunghe esplorazioni volte a verificare la possibilità di un governo di coalizione tra il centro-destra ed il M5S. Anche in Italia, il primo tentativo è andato a vuoto.
Ora, come in Germania, si è riaperto il dialogo col centro sinistra. Il Presidente della Camera Roberto Fico, esponente del M5S, dopo essere stato incaricato di verificare la possibilità di iniziare le trattative, ha dato al Capo dello Stato un segnale positivo. Anche nel Pd, ora, le posizioni si sono divaricate. Maurizio Martina, il reggente, si è dichiarato possibilista: anche lui a Porta a Porta, ha affermato che "Abbiamo sulle spalle una stagione complicata. Ci siamo scontrati, abbiamo ancora oggi distanze importanti. Tuttavia penso che questa sfida vada accettata: ritengo il percorso che il Pd deve giocare all'attacco. Sfidiamo fino in fondo il M5S". Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, appena iscrittosi al Pd, ha invece più volte ribadito di non essere assolutamente favorevole con una alleanza con il M5S: in questo caso, si dimetterà immediatamente.
Il Pd, non dimentichiamolo, ha appena preso una nuova batosta alle elezioni regionali in Basilicata, quasi dimezzando la percentuale di voti: ha riportato il 9%, rispetto al 16% delle politiche del 4 marzo. Nel fine settimana, si vota per le regionali in Friuli-Venezia Giulia: anche qui è dato per scontato che non venga rieletta la attuale Presidente, Debora Serracchiani, esponente di punta del Pd. Il leghista Massimiliano Fedriga, candidato per il centrodestra dovrebbe cogliere il successo, portando a cinque le amministrazioni regionali del nord Italia in cui il Pd non ha più voce in capitolo: Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto ed ora anche il Friuli. La prospettiva per il Pd è di divenire irrilevante, considerando la tendenza dell'elettorato a polarizzarsi tra M5S e centrodestra.
Il Pd come l'Spd tedesca: perde le elezioni ma ha bisogno di rimanere al governo.
“Più che l'amor poté la fame” (di potere)?