La
imposizione di dazi sulle importazioni dalla Cina, e la minaccia di farlo anche nei confronti dell'Unione europea, ha caratterizzato l'intero quadriennio della Presidenza Trump. Il punto chiave dello scontro americano sono state le tecnologie nel
settore del 5G e dei microprocessori: è stata senza sosta la
pressione contro Huawei e ZTE. Le ritorsioni cinesi sono andate a colpire l'elettorato repubblicano, soprattutto gli agricoltori del Midwest che sono stati spiazzati dalle esportazioni di Brasile ed Argentina.
Trump ha concimato inutilmente il terreno, in vista della reindustrializzazione degli Usa: le multinazionali che hanno beneficiato degli sconti fiscali per riportare a casa i profitti fatti all'estero, in precedenza detenuti in temporanea sospensione di imposta, quando si è trattato della rielezione lo hanno abbandonato. I mercanti fanno sempre così.
Dal punto di vista geopolitico,
Trump chiedeva un analogo riequilibrio tra i costi militari sostenuti dagli Usa ed i benefici in termini di sicurezza che non vengono pagati dai suoi alleati: da una parte, gli Stati europei avrebbero dovuto aumentare i propri stanziamenti per la difesa, concorrendo adeguatamente alle
spese della NATO; dall'altra, in Medio Oriente occorreva che gli Stati arabi convergessero con Israele per assicurare pace e stabilità nei confronti della
incombente minaccia militare e nucleare iraniana. L'Unione europea ha nicchiato, orientandosi verso la costituzione di un Esercito europeo e per una politica comune negli armamenti che sfiderebbe il predominio americano. L'Arabia Saudita ed altri Paesi arabi stavano convergendo con Israele, mentre la Turchia ha continuato ad essere poco malleabile.
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