Il
sistema postale e quello telefonico tradizionale sono usciti devastati: non si mandano più lettere o cartoline, né si spediscono più fatture, perché tutto va sulla rete. E le bollette telefoniche sono quasi tutte a forfait, mentre una volta il traffico era tariffato a tempo ed a distanza, a scatti oppure a secondi. Oggi si può stare tranquillamente al telefono per ore chiacchierando con chiunque in capo al mondo, o fare collegamenti video anche sullo smartphone: quella che nei primi anni duemila sembrava una gigioneria, la videochiamata sui primi telefonini UMTS di terza generazione, è diventata pratica comune. Anche qui,
tutto gratis: dalle e-mail alle telefonate via Skype o equivalenti, alle chat sui social media, alle videochiamate.
Se volessimo dare un valore monetario a tutto questo enorme traffico sulla rete, allo scambio di contenuti ed alla fornitura di servizi, il PIL registrerebbe una crescita enorme. Immaginate di dare il valore di 10 centesimi di euro o di dollaro per ogni mail inviata e anche solo di 1 centesimo per ogni foto caricata o inviata: in un anno, si arriverebbe, a livello planetario, ai fantastiliardi. Ed invece, essendo servizi gratuiti, tutto questo non viene in alcun modo valorizzato: ci sono solo i costi di gestione e di alimentazione dei siti e dei contenuti che vengono caricati, trovando la pubblicità o con altri servizi.
Internet ha determinato una socializzazione della ricchezza intellettuale mai immaginata prima e dà vita in ogni istante ad un valore sociale ed economico immenso: ma tutto questo non viene computato.
Contenuti e di servizi gratuiti non entrano nel PILInternet e Pil, il paradosso della gratuità
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