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Internet e PIL, il paradosso della gratuità

Contenuti e servizi gratuiti non entrano nel PIL


Le cose sono andate diversamente: la "rete" ha dimostrato la sua vera natura, uno strumento creato per non essere controllabile, concepito per fini militari e scientifici e non economici: i "browser" hanno sconvolto l'assetto teorico di "accesso controllato e tariffato all'ingresso dall'ISP": l'utente accede infatti direttamente ai siti formulando una interrogazione, digitando una o più parole chiave che rimandano ad un archivio di corrispondenze, e di lì ai siti. L'ISP istrada solo l'accesso alla rete, ma non lo controlla: il controllo si fa direttamente al sito che offre informazioni o servizi, che per la stragrande quantità sono gratuiti.

Ci sono due aspetti che vanno considerati a questo punto, sul piano patrimoniale e su quello economico.


Innanzitutto c'è stato un abbattimento del valore degli asset esistenti: la concorrenza delle enciclopedie on-line ha abbattuto il valore di quelle storiche. Lo stesso vale per gli immensi archivi di musica, di film e di opere letterarie: una volta digitalizzate ed immesse in rete, è stato quasi impossibile mantenere in piedi i vecchi modelli di business basati sulla vendita dei supporti fisici e l'incasso dei relativi diritti di sfruttamento.

Mentre da una parte la platea dei fruitori dei contenuti si è moltiplicata a dismisura, il prezzo dei contenuti in rete è crollato fino alla gratuità assoluta. Nonostante gli sforzi di controllare il pirataggio e lo sviluppo delle piattaforme a pagamento, il modello pay è assolutamente minoritario.
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