Il biennio di pandemia ha fatto replicare, nel biennio 2020-2021, lo stesso paradigma: liquidità a manetta, che ha vagato inoperosa in attesa di occasioni di lucro. I tassi di interesse sono rimasti a livelli infimi.
La repressione finanziaria che ne è derivata azzerando i rendimenti o rendendoli negativi in termini reali per oltre un decennio, dal 2008 al 2020, ha favorito i debitori a discapito degli investitori, rallentando però anche il ciclo degli investimenti produttivi. Questo è stato il primo inconveniente:
la liquidità ha preso decisamente la strada della speculazione, comprando futures di materie prime, di prodotti agricoli, di prodotti energetici.
Alla ripresa, nei primi mesi del 2021, i nodi sono venuti al pettine: il risparmio accumulato inoperosamente si è tramutato in nuova domanda e l'offerta ha catturato il mercato aumentando i prezzi. L'onda lunga dei sostegni pubblici precedenti, volti a far superare la crisi economica derivante dalla epidemia, ha contribuito a sostenere la domanda ed a far aumentare i prezzi.
La
Federal Reserve americana, per contrastare l'inflazione interna, ha preceduto tutte le altre banche Centrali aumentando i tassi di interesse: questa decisione ha avuto una immediata ripercussione negativa sul mercato dei capitali, attratti dagli impieghi in dollari, e dunque su quello dei cambi mandando a picco l'Euro, lo Yen e la Sterlina, tanto per citare le valute principali. Un meno 20% in un anno rispetto al dollaro, a cominciare dalla primavera del 2021, ha creato enormi problemi in termini di inflazione imbarcata per via dei maggiori costi all'importazione.
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