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18 lunghissimi mesi cruciali

Dopo Ankara, elezioni a Bruxelles, Mosca e Washington

C'è già stata la prima svolta decisiva, in Turchia.

Nel ballottaggio di domenica scorsa, il 28 maggio, il Presidente Recep Tayyip Erdogan ha battuto lo sfidante Kemal Kiliçdaroglu, dopo aver conseguito la maggioranza assoluta della Grande Assemblea Nazionale nella tornata elettorale di due settimane fa.

La coalizione che sostiene Erdogan, l'Alleanza del Popolo, ha riportato il 49,5% dei voti e ben 323 deputati eletti su 600 seggi di cui si compone l'Assemblea. La coalizione dello sfidante Kiliçdaroglu, Alleanza Nazionale, ha ricevuto il 35,6% di voti, con 268 eletti.

Rispetto alle elezioni di cinque anni fa, c'è stata una limitata erosione di voti per l'Alleanza del Popolo che aveva avuto 344 deputati ed un consistente incremento dell'Alleanza Nazionale che ne aveva avuti solo 189, ma non tali da far venir meno la maggioranza assoluta a favore della Alleanza del Popolo.

Con la conferma alla Presidenza di Erdogan, la Turchia si mantiene su un'orbita ellittica rispetto all'Occidente: eterodossa in campo economico visto che non aumenta i tassi di interesse nonostante una inflazione elevatissima, ha una strategia fortemente autonoma in politica estera mantenendo stretti rapporti con la Russia pur essendo membro della Nato. Se avesse vinto invece lo sfidante Kiliçdaroglu, il beniamino delle Cancellerie occidentali, la Turchia sarebbe tornata ad essere un partner affidabile e soprattutto malleabile: si pensava già ad un rafforzamento della partnership con l'Unione europea, magari facendola aderire al Trattato di Schengen. Pur non rinunciando del tutto all'area di influenza che è costruita in questi anni, avrebbe cercato di "fare da ponte" tra Est ed Ovest.

Ma ormai il dado è tratto, e la Turchia continuerà nella sua strategia neo-Ottomana di Erdogan, dando un bel po' di filo da torcere agli Stati Uniti ed alla Nato.
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