(Teleborsa) - Si chiama
Nuova Via della Seta l'ambizioso e titanico progetto della
Cina del
XXI secolo che richiama in modo volutamente
suggestivo quanto
affascinante l'antica via commerciale che stabilì e mantenne per
2.000 anni gli scambi commerciali tra l
'Europa e la Cina.
La principale
merce di scambio era ovviamente la
seta, un bene di lusso di cui la Cina conservò per molto tempo il monopolio. Dalle sponde del Mediterraneo, presso
Tiro, la pista si dirigeva verso il cuore della
Cina passando per
l'Afghanistan.Nel Pamir, in un luogo chiamato "Torre di Pietra", oggi
Tax Horgan, si incontravano i mercanti per
barattare le merci dei rispettivi Paesi di origine.
La versione moderna, ribattezzata
Belt and Road Initiative (BRI), lanciata nel 2013, è un gigantesco piano per la costruzione di infrastrutture di trasporto e logistiche che coinvolge decine di paesi di tutto il mondo per un valore di
più di mille miliardi di dollari. Il Presidente cinese
Xi Jinping, intanto, con la sua nutrita delegazione composta da oltre 500 persone, è tornato in patria al termine del suo viaggio in Europa dopo aver fatto tappa anche nel nostro Paese dove ha firmato il discusso discusso memorandum tra Roma e Pechino sulla via della Seta e altri
29 accordi commerciali e istituzionali per un valore di circa 2,5 miliardi.
Le
intese sono state siglate sabato 23 marzo a villa Madama dal Presidente cines
e Xi Jinping, accompagnato dai suoi Ministri, e dal Premier
Giuseppe Conte. Per il Governo era presente anche il Vicepremier
Luigi Di Maio, assente il Leader leghista
Matteo Salvini che nei giorni scorsi aveva manifestato più di qualche perplessità sull'operazione, poi rientrata. Ma l'atteggiamento del Ministro dell'Interno resta comunque cauto. Restano più che vigili anche le "lunghe orecchie" di Washington con l'UE che, inquadrando l’operazione come un tentativo di colonizzazione del paese asiatico nei confronti dell’Europa,
monitora e guarda interessata agli sviluppi.Fatto sta che
l'Italia gioca un ruolo fondamentale nella
"partita" cinese ed è una
"pedina" più che centrale. Ma guardiamo la cartina geografica per capire i possibili sviluppi della strategia del Dragone. Il
Pireo parla cinese, la
China Ocean Shipping Company (Cosco) lo ha acquistato all'inizio del 2016 (il 67%) staccando un assegno di
368,5 milioni di euro e un piano di investimenti di 350 milioni in 10 anni.
Doppia mossa per le autorità di Pechino: da un lato strategica, dall'altra simbolica. Non meno importante. Con l'obiettivo di realizzare un hub nel Mediterraneo che è elemento centrale nella strategia cinese di penetrare in
Europa e in Africa. In poco tempo il Pireo è diventato il terzo porto container del
Mediterraneo con quasi 4,5 milioni di tonnellate sperando di alzare l'asticella a 10 milioni nei prossimi anni.
Del resto, la
centralità del Mediterraneo non si esaurisce con
l'hub del Pireo. Due anni fa la Cosco, infatti, è sbarcata in Spagna e negli ultimi anni
Pechino ha investito anche sui porti africani, a
Port Said e Alessandria in Egitto, a
Kumport in Turchia.
Tornando in casa nostra, due dei principali porti italiani,
Genova e Trieste, stanno diventando i maggiori poli d'attrazione del Tirreno e dell'Adriatico per il
Dragone. Quello dei
porti, infatti, è un
filone centrale per realizzare la nuova via della Seta. per questo è necessario
infrastrutturarli per renderli in grado di ospitare le mega navi.
In questo progetto c'è ovviamente anche il
porto di Trieste. Il Memorandum prevede il potenziamento di infrastrutture ferroviarie di un'area ampia a ridosso del capoluogo giuliano, da Cervignano a Villa Opicina, compresi i
porti di Monfalcone e Trieste e una lista di micro e
macrointerventi. Nel corso della sua visita il Presidente
Xi si è recato anche a
Palermo: la Sicilia è a due passi
dall’Africa, e l’interesse cinese verso l’isola mediterranea potrebbe crescere costantemente in un’ottica duplice. Economicamente, il traffico marittimo proveniente dal canale di Suez potrebbe approdare lì, oltre che a
Trieste. Italia – Cina, 44 miliardi di scambi nel 2018 – Come sempre, quando si parla di accordi e prospettive c’è da fare i conti con i numeri guardando al 2018 come anno di riferimento. Per l’Italia i rapporti con la Cina valgono 44 miliardi, 17,6 dei quali per la Lombardia, ossia il 40% del totale italiano. E' quanto emerge da una elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi e di Promos Italia su dati Istat.
L’Italia in Cina: si stima che le
imprese cinesi a partecipazione italiana siano oltre
1700, con circa 150 mila addetti e un giro d’affari di 22 miliardi di euro. A queste vanno sommate le
450 imprese a capitale italiano presenti a Hong Kong, che contano circa 8 mila addetti per un giro d’affari di oltre 2,3 miliardi di euro. Nel complesso, il numero di imprese italiane direttamente presenti in Cina o a Hong Kong – con uffici di rappresentanza, joint venture o WFOE – supera dunque di gran lunga le
2 mila unità, dato più che raddoppiato negli ultimi quindici anni. (fonte: Fondazione Italia Cina).
La Cina in Italia. Alla fine 2017 risultavano direttamente presenti in Italia, attraverso almeno un’impresa, partecipata 300 gruppi cinesi, di cui 216 cinesi e 84 con sede principale a
Hong Kong.