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Keynes e il declino dell’impero americano

Il comportamento ciclico dell'economia, la scuola keynesiana e le elezioni USA.

“Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo”, diceva Archimede per illustrare il principio della leva. Sicuramente, come mostra il grafico qui sotto, la leva (finanziaria) i mercati li ha sollevati, eccome. Le tre grandi ondate rialziste della borsa USA 1995-2000, 2003-2007 e 2009-oggi sono state ampiamente e palesemente foraggiate dall’uso della leva finanziaria, che si è contratta fino ad azzerarsi nei bear markets 2000-2003 e 2007-2009.

NYSE margin

Purtroppo gli ultimi dati mostrano che l’accenno di rientro “pilotato” dagli eccessi del 2011-2012 sta ancora una volta lasciando il posto a una accelerazione nell’utilizzo della leva. L’uso della leva ha un effetto immediato positivo sui mercati, simile a quello di uno stimolante artificiale, e uno negativo (diminuzione della liquidità nella fase di deleveraging) nella fase ciclica negativa. Questo getta pertanto luce sulle possibili modalità di sviluppo dell’attuale ciclo economico e sulla successiva, inevitabile contrazione, almeno sul mercato americano.

Suggerisco a questo proposito due letture molto interessanti, che affrontano la questione da prospettive diverse ma alla fine per certi versi convergenti:

Sempre allo scopo di stimolare la riflessione (ognuno alla fine può e deve pensarla a modo suo: l’importante sui mercati è fare soldi e soprattutto non perderli), cito un dato interessante. La capitalizzazione della borsa USA in questo momento è al 105% del PIL USA, contro una media storica del 60% che si abbassa al 50% se si esclude la bolla di fine anni ’90. Il rapporto tra capitalizzazione e PIL era 80% prima del crollo del 1972-1974 e 86% prima del crollo del 1987. In questo momento, la capitalizzazione del mercato USA è elevata in quanto il multiplo in termini di prezzo/utili sembra ragionevole. Ma è lo stesso livello di utili che è ai massimi storici in relazione al PIL USA e questa valutazione appare ragionevole solo se si crede che questa situazione eccezionale possa perdurare nel lungo termine. Per fare un paragone, Piazza Affari capitalizza approssimativamente intorno al 20% del PIL italiano.

In questo Regno dell’Ottimismo arrivano le elezioni presidenziali americane, tra le più combattute e – a mio personale avviso – importanti della storia. La partita in gioco trascende pesantemente quella dei due schieramenti e quella dei due contendenti. La partita è tra due visioni antitetiche del mondo e dell’economia: e – a causa della fortissima connessione tra Europa e USA, resa ancora più stretta dalla crisi – qualunque risultato avrà inevitabilmente conseguenze profonde e importanti anche sull’Europa e, a cascata, sul resto del mondo.

E’ velleitario e superficiale dire che se vince uno saranno favoriti certi settori e – se vince l’altro – altri settori. La vittoria di Romney significherebbe il prevalere di una concezione dell’economia fortemente orientata a una visione capitalistica e oligopolica dell’economia e dello stato. La vittoria di Obama significherebbe il prevalere di una concezione di stato completamente diversa, più assistenzialistica e attenta al sociale. Totalmente diverso anche l’approccio in politica estera.

Chiunque vinca si troverà però a provare a correre rallentato da un fardello enorme: la leva di cui sopra. E’ il modo e i tempi con cui questo problema verrà affrontato che farà la differenza. E’ doveroso ricordare che questa leva da qui a qualche mese, quindi sul breve – finché la pacchia dura – avrà un effetto positivo sui mercati, in quanto ovviamente permette a chi opera di giocarsi una grossa partita con un piccolo impegno di capitale. Tutto sembra giocare a favore del leverage in questo momento: la bassa volatilità, i tassi a breve congelati, i tassi a lungo favoriti dal carry trade degli interessi (il che eviterebbe in teoria un crollo dei bonds), lo stesso trend delle borse e degli asset finanziari in generale. In realtà nessun pasto è gratis. Basta guardare i livelli assurdi a cui sono arrivati certi segmenti obbligazionari a causa della fame di rendimenti e della possibilità di ottenerli con grandi leve e piccoli margini di tasso, per far capire a chi conosce i mercati che si preparano anni durissimi sul reddito fisso. Quando questo ciclo sarà finito – e per quanto cerchino di prolungarlo, prima o poi finirà – il rientro da questi livelli di leva, se non sarà gestito con grandissima attenzione e controllo, rischia di provocare soprattutto sui mercati americani un effetto meccanico di intuibili proporzioni e conseguenze.

Sicuramente, un’Europa che fosse riuscita nel frattempo ad affrancarsi almeno parzialmente da una serie di problemi, seppure a carissimo prezzo, potrebbe staccarsi a quel punto dagli USA e cominciare a giocare una partita completamente diversa. Forse è questo il vero 2012.

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