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Tre paradigmi

Ipotesi diverse sul futuro dell'inflazione e dei mercati


Il primo è di Paul Donovan, capo economista di Ubs. È il paradigma più intuitivo e quindi meno sconcertante. È anche rassicurante. Ipotizza una rotazione più vivace del solito dei prezzi relativi (con alcuni che salgono e altri che scendono) e una decelerazione iniziale dell'inflazione (senza connotati deflazionistici) seguita a medio termine da un'inflazione più vivace rispetto a quella del decennio scorso, ma non inquietante. Il pubblico sopravvaluta sempre l'inflazione che verrà, aggiunge, ma nulla, delle politiche monetarie e fiscali in corso, costituisce un vero pericolo. Governi e banche centrali si limitano infatti a tappare gli enormi buchi di domanda creati dalla pandemia e non creano domanda aggiuntiva. Dal canto suo l'aumento dell'offerta di moneta, che gli inflazionisti citano come segnale d'allarme, è in realtà dovuto al fatto che molte imprese, nei tre mesi passati, hanno sfruttato al massimo le linee di credito bancario di cui disponevano e si sono quindi fatte accreditare tutto il possibile. Verosimilmente, tuttavia, questi soldi non verranno spesi per investimenti o per accumulo di scorte, ma verranno mantenuti sul conto corrente a scopo precauzionale.

Quanto al processo di deglobalizzazione in corso, visto in genere come inflazionistico, va considerato per Donovan che le imprese che tornano a casa tendono a ridurre i dipendenti automatizzando i processi. L'aumento di produttività che ne consegue contiene la pressione sui prezzi. In conclusione, se le banche centrali manterranno una certa autonomia, difficilmente vorranno rinunciare ai risultati conseguiti nella loro battaglia quarantennale contro l'inflazione e gli sforamenti che autorizzeranno rispetto al limite del 2 per cento che si sono imposte saranno contenuti.

Gli altri due paradigmi sono proposti da autori che da molto tempo (nel caso di Gary Shilling da quarant'anni) hanno individuato correttamente la natura disinflazionistica del mondo seguito agli anni Settanta e hanno mantenuto la loro forte scommessa sul Treasury trentennale anche nei momenti in cui l'inflazione rimbalzava e in quelli in cui le banche centrali inondavano il mondo di liquidità. Shilling, nel tempo, ha puntato anche su borsa americana e dollaro (vincendo su tutta la linea) perché ha visto disinflazione benigna senza deflazione maligna. Altri, come Albert Edwards di SG, sono diventati giustamente famosi per avere descritto come Era Glaciale (seguita all'Età del Fuoco degli anni Sessanta-Settanta) il quarantennio passato, ma puntando sulla deflazione invece che sulla disinflazione hanno vinto alla grande sul trentennale Treasury ma hanno completamente perso il treno del grande rialzo azionario.

Accomuniamo Shilling ed Edwards nel secondo paradigma, perché entrambi sostengono oggi che siamo di fronte a un drammatico rischio di deflazione (con effetti distruttivi su molti settori dell'azionario). Dopo la fase culminante dell'Era Glaciale seguirà nel tempo quello che Edwards chiama il Grande Disgelo, ma arrivarci vivi non sarà così facile. Certo, la prima risposta delle borse alla pandemia, dopo lo spavento iniziale, è stata costruttiva perché sconta il rallentamento di Covid e gli interventi di sostegno, ma la seconda non potrà evitare di prendere atto dell'ondata di fallimenti che arriverà e della recessione che si prolungherà fin dentro il 2021. Lunghi di Treasuries e di dollaro, dice dunque Shilling, e corti di borsa.
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