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Tre paradigmi

Ipotesi diverse sul futuro dell'inflazione e dei mercati


Il terzo paradigma è proposto da un autore profondo e apocalittico quale è Russell Napier. Quella che abbiamo sotto i nostri occhi, dice, è la nascita dell'Età dell'Inflazione, qui e ora. Il decennio scorso ha visto l'espansione della base monetaria, il denaro creato dalle banche centrali. Questo denaro, in gran parte, è però stato ridepositato presso le banche centrali senza creare inflazione. Questa volta i governi prendono direttamente in mano la gestione della crisi e, offrendo garanzie pubbliche sui prestiti bancari, inducono le banche a creare loro denaro, depositandolo sui conti delle imprese come prestito e facendo esplodere l'offerta di moneta. Il denaro creato dalle banche, osserva Napier, ha una carica inflazionistica molto superiore rispetto a quello creato dalle banche centrali. D'altra parte, una volta frantumati i tabù fiscali, la storia dimostra che è ben difficile fermarsi in tempo.

Corollario di questa politica sarà per Napier l'intensificarsi della repressione finanziaria. I tassi verranno tenuti a zero mentre l'inflazione salirà. I tassi a zero permetteranno ai bond e alle borse di non scendere molto di prezzo, ma la penalizzazione arriverà attraverso l'inflazione e l'erosione del potere d'acquisto degli investitori. Solo l'oro si salverà, insieme al real estate e alle azioni di imprese ricche di asset reali e di debiti a tasso fisso a lungo termine.

Che dire? Nel paradigma deflazionistico (il secondo) e in quello inflazionistico (il terzo), che peraltro si elidono tra loro, ci sono elementi interessanti, ma c'è anche qualche forzatura. I deflazionisti non tengono conto della disponibilità di governi e banche centrali a produrre a getto continuo e virtualmente senza limiti nuove misure reflazionistiche. Gli inflazionisti, dal canto loro, non considerano che le garanzie pubbliche sono in buona parte su prestiti già esistenti o da rinnovare e non su prestiti nuovi. Si evitano in questo modo nuove crisi bancarie e si puntellano le imprese, ma non siamo ancora al 2007, quando le banche americane, pur di prestare soldi, concedevano mutui per la casa a chiunque li chiedesse. Questo non toglie che se l'atteggiamento prevalente sarà quello di reflazionare fino al comparire dell'inflazione, possiamo essere certi che questa prima o poi comparirà e che gli inflazionisti vinceranno la sfida. Per quest'anno e per il prossimo, tuttavia, dovremo piuttosto preoccuparci della deflazione e dei suoi effetti non sui corporate di qualità e sugli indici di borsa, che verranno sostenuti, ma certamente sui settori fragili dell'azionario e dell'obbligazionario.

Venendo al breve, l'azionario cerca nervosamente un livello di equilibrio che potrebbe essere poco al di sotto dei livelli attuali. La scommessa di lungo termine sull'azionario (con una leggera prevalenza di ciclici, purché finanziariamente solidi) resta valida, ma va integrata con obbligazioni di qualità, governativi indicizzati e oro.
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