Dalla fine degli anni Ottanta il vento completa anche in Italia il suo cambiamento di direzione.
Per preparare il suo ingresso nell'euro l'Italia è sollecitata a privatizzare, liberalizzare il mercato del lavoro e contenere il debito. La domanda inizia a subire pressioni al ribasso da tutte le direzioni. In particolare, cadono strutturalmente gli investimenti anche perché le privatizzazioni trovano i nuovi soggetti proprietari fortemente indebitati.
Con la
Grande Recessione del 2008 le cose precipitano. L'Italia patisce una
seconda recessione idiosincratica nel 2012 e una
crisi bancaria nel 2015-16. Dal 2008 al 2015 il Pil cade in misura ampiamente superiore a quella registrata durante la Grande Depressione degli anni Trenta. La componente del Pil che crolla maggiormente è quella degli investimenti. Chiedono meno credito le imprese, ne concedono ancora meno le banche, chiamate da Bruxelles a contenere i loro rischi.
È storia nota e non ci dilunghiamo. Se il Pil procapite italiano è più basso di trent'anni fa, la borsa è sugli stessi livelli e i prezzi delle case, unico caso al mondo, sono rimasti immobili le ragioni sono tante, ma la caduta degli investimenti è certamente una delle più importanti.
Il nuovo superciclo globale della domanda crea le condizioni per una ripresa anche in Italia. In questi anni particolarmente duri il nostro sistema industriale si è riorganizzato. Sono perduti per sempre alcuni campioni nazionali da una parte e molte piccole imprese a basso contenuto di tecnologia dall'altra. I primi sono stati salvati in altri paesi e abbandonati da noi, le seconde potevano essere in parte aiutate ad affrontare la concorrenza cinese ma sono state anch'esse abbandonate. Pace.
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