Quello che resta, in compenso, è solido e vivace. Una parte si è pienamente integrata nella filiera produttiva tedesca e trarrà beneficio dalla ripresa globale dell'auto. Un'altra parte si è organizzata per competere in prima linea sui mercati globali in settori magari di nicchia, ma ad alto valore aggiunto.
Se l'Italia nel 2020 ha fatto registrare nonostante il crollo del turismo un avanzo delle partite correnti del 3.4 per cento (mentre la Francia ha aggravato il suo disavanzo portandolo al 2) non è solo per la caduta dei consumi (e quindi delle importazioni) ma anche
perché le imprese italiane sono riuscite ad agganciare molto bene la ripresa cinese e americana.
Se su questo tessuto più piccolo, ma sano, di imprese si innesterà la forte ripresa di investimenti pubblici creata dal Recovery Fund l'Italia eviterà di formare di nuovo quelle cicatrici che l'hanno sempre più deturpata dopo tutte le crisi (il fenomeno di isteresi per cui il potenziale di crescita si riduce dopo ogni recessione).
L'Italia non recupererà le posizioni perdute nella classifica mondiale delle economie, anzi ne perderà ancora, ma questa volta più per particolari meriti altrui che per demeriti suoi. Al gelo degli ultimi decenni si sostituirà un certo tepore, almeno per qualche anno. Per le prospettive di lungo termine molte questioni restano aperte. Quanto sarà possibile al mondo crescere di più senza creare inflazione? Quanto durerà l'apertura tedesca verso le politiche di crescita? Che faremo nel 2027 quando dovremo iniziare a ripagare i prestiti del Recovery Fund? Per quanto tempo durerà il sostegno monetario della Bce?
Avremo tempo per rispondere a queste domande. Nel frattempo
godiamoci questa fase di allargamento della ripresa dai mercati finanziari all'economia reale e non trascuriamo le opportunità che offre l'Italia. Certo, i mercati sono un po' stanchi e si prenderanno presto qualche settimana di pausa per consolidarsi, ma la ripresa dell'economia reale darà loro forza strutturale, quella che conta davvero.
"