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L'ultima frontiera dell'inflazione (e del feticismo)


È possibile, naturalmente, che non si tratti di feticismo ma, più semplicemente, dell'idea che, in tempi di asset inflation, qualunque cosa si compri oggi a 100 potrà essere rivenduta domani a 200. Finora ha funzionato, ma fino a quando le banche centrali potranno tollerare non solo che gli asset continuino a gonfiarsi, ma che i beni di consumo crescano di prezzo a una velocità doppia rispetto a quel 2 per cento che da due decenni è indicato ufficialmente come obiettivo? E probabilmente più che doppia, dal momento che il deflatore del Pil americano rivisto oggi, la misura più completa e meno manipolabile dell'inflazione dal momento che ne calcola l'impatto su tutti i beni e servizi, registra nel secondo semestre una velocità annualizzata dal 6.1 per cento.L'inflazione per il momento è accettata bene dai mercati finanziari, ai quali bastano la salita costante delle borse e l'ottima tenuta dei bond, ma è tollerata meno dai consumatori, che fra 14 mesi si trasformeranno in elettori. Che l'inflazione sui beni essenziali cominci a essere un nervo scoperto per l'amministrazione Biden lo si vede dalla disponibilità dichiarata a scendere a compromessi con l'Iran (per fare scendere il petrolio) e dall'aumento del 20 per cento del valore dei sussidi alimentari federali concessi a 42 milioni di americani.

La Fed non è in una posizione comoda. Da una parte ha l'inflazione, come abbiamo visto, ma dall'altra ha un'economia globale che, per quanto appaia gonfia di steroidi, è in realtà fragile. Molti paesi emergenti che non hanno la fortuna di avere materie prime barcollerebbero seriamente se la Fed dovesse iniziare a stringere. Ma anche nei paesi industrializzati la prospettiva di un ritorno alla normalità si allontana se è vero che i vaccini offrono una copertura limitata e che controlli e restrizioni si prolungheranno.

Sono ormai mesi che i mercati aspettano con trepidazione la riunione di Jackson Hole di domani, ma l'incertezza sulla pandemia e le pressioni politiche continueranno probabilmente a spingere la Fed a mantenere la linea ultramorbida già decisa da più di un anno, con un 2022 dedicato al tapering e un 2023 dedicato a qualche modesto rialzo dei tassi di policy, destinati comunque a rimanere ampiamente al di sotto dell'inflazione per tutti i prossimi anni.
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