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Tre anni di inflazione

Alla fine, l'azionario è ancora una buona difesa

Tra l'inizio del 2021 e la fine del 2023, uno spazio di tre anni, l'inflazione avrà probabilmente divorato il 19 per cento del potere d'acquisto del dollaro. Per l'euro la perdita sarà vicina al 20 per cento e per la sterlina al 21. Non sono numeri ancora certi, perché non sappiamo esattamente come andrà l'inflazione da qui a fine anno, ma è difficile che, a consuntivo, saranno cambiati molto.

L'inflazione complessiva di queste tre aree risulterà più alta di quella di paesi che hanno tradizionalmente un'inflazione più vivace della nostra, come ad esempio l'India, il Messico o Israele.

Paesi come l'Indonesia, la Thailandia e la Corea del Sud, dal canto loro, avranno avuto metà della nostra inflazione. Ancora più imbarazzante il paragone con il Giappone, la Cina e la Svizzera, che nel triennio avranno avuto un'inflazione totale (totale, non annuale) compresa tra il 4 e il 6 per cento.

Ci siamo spesso ripetuti, in questi anni, che l'inflazione andava addebitata al Covid, alle strozzature dell'offerta, al petrolio, alla guerra e alla transizione energetica. Tutto vero, ma vero anche per quei paesi che hanno contenuto la loro inflazione molto meglio di noi.

Come hanno fatto? Se c'è una cosa che accomuna paesi così diversi è che nessuno di loro ha adottato le politiche fiscali e monetarie da tempo di guerra che abbiamo adottato noi.

Ricaviamo dal sito ufficiale del Tesoro americano che il disavanzo di bilancio federale complessivo dei due esercizi passati e di quello corrente è stato di 7.3 trilioni di dollari. Su un Pil nominale in dollari correnti che a fine anno sarà intorno ai 27.5 trilioni, questi 7.3 trilioni rappresentano il 26.5 per cento. Dello stesso ordine di grandezza è l'aumento del livello della base monetaria creata dalla Fed. Molto simili, sia sul piano fiscale sia su quello monetario, le percentuali per l'eurozona e per il Regno Unito.
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