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Quella voce che viene da Davos

Il paradosso che si sta verificando è quello di responsabili della crisi, beneficiari di aiuti di Stato e quindi a carico della collettività, i quali non pagano alcun prezzo per i loro errori ma addirittura ritornano alle nefaste abitudini precedenti. Per loro, usando una felice metafora di Enrico Mattei, lo Stato è come un taxi sul quale, quando serve, si sale senza pagare la corsa; tutto, ovviamente in nome del libero mercato e della concorrenza, di cui i loro super bonus sarebbero solo il frutto naturale.

Tuttavia questa analisi, condivisibile in alcuni suoi tratti fondamentali, ha secondo noi il torto di vedere solo alcuni aspetti della questione, che è oggettivamente più complessa di una semplice disputa sulla carenza di regole o sulla dinamica del processi di globalizzazione. In altri termini, quello che è accaduto negli anni scorsi non va considerato alla stregua della solita crisi ciclica, magari molto più acuta delle precedenti, ma destinata ad essere riassorbita senza grossi traumi e sconvolgimenti strutturali nei prossimi anni.

Quello che è stato messo in discussione è la sostenibilità economica e sociale di un certo modello di sviluppo, che provoca l'esclusione di fasce crescenti di popolazione dal ciclo produttivo, la loro marginalizzazione e la conseguente riduzione a condizioni di povertà o addirittura di indigenza. Sul banco degli imputati non può non trovarsi anche uno stile di vita da ripensare, sia in termini di priorità politiche che di valori etici.

Eugenio Scalfari individua nell'assenza di una crescita adeguata il principale problema del nostro Paese, da cui inevitabilmente discendono gli altri. Non è peraltro impresa semplice coniugare un aumento accettabile del PIL con l'obbligo di tenere sotto controllo i conti pubblici; questo senza incrementare la pressione fiscale, fra le più elevate a livello comunitario.

A nostro avviso, il peso dei tributi va riposizionato non soltanto dalla tassazione diretta a quella indiretta ma anche riequilibrato a favore del lavoro e a sfavore dei capitali e delle rendite, non solo per motivi etici ma anche per i probabili effetti positivi sui consumi. Inoltre devono essere politicamente incentivate tutte le iniziative che si pongono l'obiettivo di "reincludere" nel circuito economico coloro i quali ne sono stati espulsi o sono estranei da sempre. La crescita passa anche attraverso questa via, per la semplice constatazione che le altre si sono rivelate piuttosto impervie se non impraticabili.

Pensiamo ad esempio all'attività bancaria di microcredito, che finanzia le iniziative di quei soggetti che la quasi generalità degli Istituti di Credito non ritiene degni di attenzione, i "non bancabili". Solidarietà a perdere? Modo diverso di fare banca, con un differente approccio al sistema delle garanzie, con sofferenze contenute e conto economico in ordine.

Il cambio di passo nell'azione di politica economica non può prescindere dalla constatazione che gli strumenti tradizionali di intervento hanno mostrato tutti i loro limiti e si sono rivelati insufficienti, acuendo il disagio e le diseguaglianze. Dalla crisi si esce solo se si è in grado di costruire una nuova visione di società, rielaborando la gerarchia dei valori, mettendo al primo punto l'etica della responsabilità, individuale e collettiva.
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