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Per le quote di Banca d'Italia il regalo è quello che verrà

La rivalutazione delle quote di partecipazione di Banca d’Italia ha sanato una incoerenza che danneggiava le nostre banche.

L'ultimo punto è quello su cui si discute: le quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia sono state rivalutate, e ciò che le singole banche partecipanti tenevano iscritte al valore storico di settant'anni fa, pari a poche centinaia di milioni di euro, ora valgono nel complesso 7,5 miliardi. Sulla plusvalenza, la differenza tra il valore iscritto e quello rideterminato, le banche pagheranno un'imposta. Inoltre, beneficeranno di un dividendo annuale, fino al 6% del nuovo valore attribuito alle quote. Di converso, lo Stato incasserà di meno, perché sarà detratto il maggior dividendo di spettanza delle banche, dopo aver destinato a riserva quanto occorre alla Banca per esercitare le sue funzioni.

C'è chi dice che tutto questo è stato un regalo fatto alle banche, che si sono viste attribuire una quota delle riserve accumulate finora dalla Banca d'Italia, che sarebbero invece un patrimonio di tutti gli italiani. La verità è che ci troviamo di fronte ad una congiuntura storica drammatica, la crisi finanziaria iniziata nel 2008, e che non abbiamo avuto la volontà di dare un taglio ad un passato che non è più attuale. Il fatto che le banche attuali siano per la gran parti eredi di quelle che fondarono la Banca d'Italia costituendone il capitale iniziale, è assolutamente vero ed incontrovertibile. Che tengano legittimamente nell'attivo patrimoniale le quote di partecipazione, altrettanto. Che il valore storico delle partecipazioni fosse ormai assolutamente irrisorio, è parimenti vero.

Le nostre banche hanno tutte bisogno di capitale, chi più chi meno. Alla fine di quest'anno, quando la BCE avrà concluso il suo esercizio straordinario di vigilanza preventiva sulle banche sistemiche, potrà individuare il fabbisogno di ciascuna. A quel punto, le nostre banche dovranno chiedere nuovo capitale al mercato oppure dovranno cedere asset, vendere i crediti, i mutui e gli affidamenti in essere ad altre banche che invece hanno sufficiente capitale per comprarli. Oppure ancora, dovranno ritirare il credito. Per le imprese, le famiglie e gli investitori italiani sarebbe comunque una prospettiva molto negativa: le banche alla ricerca di capitale sul mercato perdono valore in Borsa, le Fondazioni bancarie non hanno risorse per ricapitalizzare e quindi entrerebbero soggetti stranieri. Basta ricordare l'ingresso di soci libici ed arabi nel capitale delle nostre banche subito dopo la crisi: il rischio è di avere banche solo nominalmente italiane, che drenano il nostro risparmio per investirlo fuori. Basta vedere quello che sta succedendo con la raccolta dei Fondi di investimento: il netto del 2013 è stato di oltre 62 miliardi di euro, ma nessuno sa dire quanto sia stato investito in Italia. Tra fondi indonesiani, obbligazioni sudafricane ed azioni australiane, i gestori si sbizzarriscono.

La rivalutazione delle quote di partecipazione alla Banca d'Italia corrisponde ad una parte di quanto in passato non è distribuito alle banche partecipanti, come dividendo. Si fa giustizia, tardivamente. Il regalo non c'è. Ma forse si è ecceduto in prospettiva, perché bastava limitarsi a chiudere con il passato: si è mantenuto in essere un dato ormai antistorico, quello della partecipazione azionaria. Il fatto che ci siano quote di partecipazione detenute dalle nostre banche, che avranno utili distribuiti annualmente anche in futuro e che magari le cederanno per fare cassa a soggetti stranieri, e che solo formalmente sono operanti in Italia, è stata una ingenuità. Si doveva chiudere con il passato, facendo riscattare dalla stessa Banca d'Italia il capitale detenuto dalle banche partecipanti, pagandolo al valore attuale ed utilizzando le riserve accumulate. Punto. Da quel momento in poi, la struttura azionaria della Banca d'Italia doveva essere considerato un assetto storicamente e finanziariamente concluso.

Il regalo non è quello che è stato fatto rivalutando le quote, ma quello di prevedere che daranno luogo a dividendi anche per il futuro. Chiudere con la Storia era giusto, ma mantenere in vita un assetto ormai antistorico è stato un errore.
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