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Dazi americani, per salvare il Dollar Standard

Un secolo dopo il Trattato di Versailles


Da Bretton Woods alla crisi del dollaro nel 1971

Nel '43, già due anni prima della fine della guerra, si posero le basi per un sistema monetario internazionale ed una ripresa economica globale che utilizzasse parametri completamente diversi rispetto a quelli seguiti nel 1918.

Solo il dollaro era legato all'oro, con un valore diretto: le riserve americane si erano ancora di più accresciute, erano in attivo la bilancia commerciale e la posizione finanziaria netta internazionale. L'unica valuta convertibile era il dollaro. Le altre avevano rapporti di cambio fissi, tra di loro e con il dollaro, modificabili in caso di disavanzi strutturali, che però richiedevano anche aggiustamenti fiscali e monetari volti ad eliminare le cause che avevano determinato la svalutazione. Il commercio con l'estero, e le bilance dei pagamenti correnti dovevano essere in equilibrio, sotto la sorveglianza del FMI; il multilateralismo nei rapporti commerciali era garantito dal GATT, poi trasformato in WTO; il sostegno finanziario internazionale agli investimenti necessari per far riprendere le economie dopo le distruzioni della guerra era assicurato dalla BMI, che in Italia finanziò ampiamente e per molti anni la Cassa per il Mezzogiorno.

Il Piano Marshall garantì agli Usa la possibilità di continuare a vendere in Europa: erano sovvenzioni condizionate a forniture americane. La Germania non fu obbligata a firmare un trattato di pace né a pagare per i danni derivanti dalla guerra che aveva condotto e dalla sua occupazione militare; anzi, nel '53 ebbe condonati per la metà i debiti contratti all'estero dal 1918 al 1939.

Il pericolo del comunismo sovietico fece gioco ancora una volta a favore della Germania: il terrore che crollasse, già dopo la prima guerra Mondiale, le aveva garantito i finanziamenti bancari americani e poi il condono delle Riparazioni previste dal Trattato di Versailles. Dopo la seconda guerra mondiale la Germania fu divisa in due, nella Repubblica federale sotto il controllo di Usa, Inghilterra e Francia, e nella Repubblica democratica sotto il controllo dell'URSS.

Gli equilibri di Bretton Woods durarono poco: la guerra di Corea e poi quella nel Vietnam dissanguarono gli Usa, che cominciarono ad avere difficoltà con la propria bilancia commerciale. Anche la conversione in oro del suo saldo negativo con l'estero cominciò ad essere problematico. Il Presidente francese, generale De Gaulle, mandò addirittura le navi militari a New York per imbarcare i lingotti d'oro corrispondenti in valore all'avanzo commerciale francese verso gli Usa.

Nel '71 la situazione si fece insostenibile: il 15 agosto, il Presidente americano Richard Nixon denunciò unilateralmente l'obbligo alla convertibilità internazionale del dollaro.

Il sistema monetario internazionale perse l'ancoraggio all'oro: da quel momento, gli Usa continuarono a pagare in dollari le importazioni, finanziando la liquidità internazionale con il proprio disavanzo crescente. Comprando merci dall'estero hanno assicurato uno sbocco praticamente illimitato alle produzioni di tutto il mondo, ma hanno pagato con una valuta non convertibile. La si accetta perché è accettata dappertutto: è rimasta la principale valuta commerciale e di riserva internazionale.

Per evitare che il dollaro, stampato in continuazione anno dopo anno, perdesse valore, molte economie hanno reinvestito il loro surplus commerciale in titoli del Tesoro americano: lo hanno fatto soprattutto i giapponesi e poi i cinesi, che hanno entrambi una detenzione di 2 trilioni di dollari. Vendere questi titoli in dollari significa far svalutare il biglietto verde: sarebbe un danno rilevante sotto il profilo commerciale ed una perdita ancora maggiore sul valore dello stock di titoli che è stato accumulato.

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