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Libia, la politica italiana dei piccoli passi

Senza ingombranti presenze, prosegue il tentativo di riportare la pace

Alla Conferenza di Palermo c'è un ginepraio di nomi, sigle e rappresentanti che celano ciascuna azioni di sostegno, di disturbo e talora ostilità nei confronti del processo di pacificazione. Nel torbido di ogni conflitto, è sempre molto più facile insediarsi e manovrare.

I colpi di scena sono il piatto forte, magari già ben preparati. C'è chi è intervenuto con lo scopo di alzare il prezzo, come ha fatto la Turchia: il vicepresidente Oktay, infatti, ha abbandonato infatti la Conferenza a lavori non ancora conclusi, affermando che "Non si può pensare di risolvere la crisi in Libia coinvolgendo le persone che l'hanno causata ed escludendo la Turchia", lamentandosi per non essere stato invitato in mattinata ad un incontro tra i protagonisti del Mediterraneo. Il protagonismo neo-ottomano di Ankara nella crisi della Siria cerca una replica in Libia, altra porzione dell'ex-impero sottrattagli dall'Italia nel 1911. Ma questo intendimento turco contrasta fortemente con la posizione e gli interessi dell'Egitto che guarda con ostilità il protagonismo di Turchia e Qatar in Libia che non gioca sullo scacchiere siriano. Distinguere le aree di influenza tra Medioriente e Mediterraneo è già una strategia.

E' sciocco ora colpevolizzare il Governo italiano per non essere riuscito a portare al tavolo i pesi massimi della politica mondiale, da Donald Trump a Vladimir Putin, da Angela Merkel ad Emmanuel Macron. A loro sarebbe stata dedicata tutta l'attenzione in un processo di riunificazione territoriale e di pacificazione ancora tutto da costruire, di cui devono essere protagonisti la Libia con i suoi esponenti, ed i Paesi confinanti.

Importa, dunque, che siano stati presenti costoro, mettendo già in conto gli inevitabili distinguo e le ostentate scontrosità formali, che fanno parte del gioco.

Le presenze del premier russo Medvedev e del presidente egiziano Al Sisi sono servite a garantire il quadro internazionale degli interessi che da lungo tempo supportano il generale Haftar, l'uomo forte del governo di Tobruk e capo dell'Esercito nazionale libico. C'è bisogno della loro collaborazione, e non solo del sostegno della Francia presente con il ministro degli esteri Le Drian. C'è bisogno dell'iniziativa congiunta degli Stati confinanti. "Siamo sempre in stato di guerra" ha affermato Haftar, sottolineando che la Libia "ha bisogno di controllare le proprie frontiere. Abbiamo frontiere con la Tunisia, Algeria, Niger, Ciad, Sudan ed Egitto e la migrazione illegale viene da tutte le parti" sottolineando che il fenomeno favorisce l'ingresso di miliziani e terroristi islamici. C'è poi il problema del controllo flussi migratori, "per non permettere l'immigrazione clandestina".
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