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A Tunisi, l'insostenibile solitudine italiana

Paghiamo trent'anni di deriva europea a Nord-Est

Il FMI non riesce a convincere la Presidenza tunisina ad accettare le solite condizioni che pone ai Governi cui eroga finanziamenti volti al risanamento dell'economia: riduzione dei sussidi generalizzati per il calmieramento dei prezzi di prima necessità, revisione del sistema fiscale per una più ampia partecipazione al gettito, riduzione delle spese pubbliche improduttive, riordinamento del sistema delle aziende pubbliche. Le solite privatizzazioni: anche qui, niente di nuovo.

Il prestito del FMI non arriverebbe neppure a 2 miliardi di dollari, una somma cui si aggiungerebbero le risorse promesse di recente dall'Italia e dalla Unione europea, che ammonterebbero a circa 1 miliardo di euro.

Il già fragile equilibrio economico della Tunisia è stato travolto dall'aumento dei prezzi dei prodotti agricoli importati che deriva anche dalla guerra in Ucraina e dal blocco del turismo internazionale durante il biennio di emergenza sanitaria.

Di impegnarsi a fermare le ondate di clandestini che partono da Sfax, non se ne parla neppure: per Tunisi sono un peso enorme, economico e sociale, e soprattutto una fonte di rischio politico.

C'è un punto che il FMI e l'Unione europea fanno finta di non capire: il dilagare delle migrazioni dalla fascia sub-sahariana, in un contesto di propaganda islamista che tende a sostituirsi alle autorità civili con forme di prelievo destinato al sostegno dei più poveri, rende impraticabili le proposte "mercatiste".
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