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Salario Minimo, tra Stato e Mercato

Quando anche la Cina ha abbandonato il mercantilismo

Guido Salerno Aletta
Guido Salerno Aletta
Editorialista dell'Agenzia Teleborsa
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Se c'è un problema ancora oggi, per l'Italia, è quello di sentirsi un Paese europeo come tutti gli altri, dimenticando quella che è stata la sua Storia. E, peggio ancora, di pensare che i rapporti di forza internazionali ne siano una componente trascurabile, quando sono invece determinanti sotto il profilo politico, economico, monetario e finanziario: dalla partecipazione alla Nato alla costituzione della Comunità economia europea, dal Serpente monetario all'Euro, dalle politiche monetarie della Federal Reserve a quelle della Bce, dall'ingresso dei Paesi ex-comunisti nell'Unione europea a quello della Cina nel Wto, dalla crisi petrolifera del '73 a quella finanziaria americana del 2008, fino alla violenta contrazione del credito internazionale dopo la crisi dell'Eurozona nel 2010, l'economia dipende in modo determinante dal contesto internazionale.

E, a differenza della Spagna, del Portogallo, della Francia, dell'Inghilterra, ma anche dell'Olanda e del Belgio, l'Italia non è mai stato un Paese con ricche colonie, di cui per secoli ha saccheggiato le risorse. La accumulazione del capitale è stata dolorosa e lentissima, per vie interne, per via di un territorio prevalentemente collinare e montuoso, senza le risorse minerarie come il carbone ed il ferro che sono state fondamentali per la industrializzazione e la crescita economica della Germania, Paese pure esso arrivato tardi alla unificazione e senza colonie fino all'ultimo scorcio dell'Ottocento, quando andò ad occupare come l'Italia ciò che era "rimasto libero" in Africa.


Non è con il lavoro che ci si arricchisce: il salario è una quota più o meno ampia del provento dell'attività di una impresa capitalistica, che dipende dai costi delle materie prime, da quello del capitale, dai mercati di sbocco. Nessuna competizione è possibile con i Paesi che hanno potuto approfittare per secoli delle materie prime importate dalle colonie sulla base di condizioni capestro, e che ancora oggi riesportano loro la propria produzione interna impedendone lo sviluppo, o quelli come gli Usa che hanno sviluppato la propria economia vendendo ai Paesi europei alleati i propri prodotti agricoli ed industriali durante le due Guerre Mondiali.

La Storia dell'Italia va letta dunque nel contesto internazionale: il boom degli Anni Cinquanta e Sessanta del Novecento era pienamente coerente con la ripresa generale dell'economia europea dopo la guerra, in un contesto caratterizzato da pochi grandi complessi industriali in mano privata e dalla gran parte dell'economia in mano pubblica.
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