La
moderazione salariale non fu più utilizzabile come arma di scambio, ma divenne una necessità: i capitali non erano più attratti dal profitto ma dalla rendita.
I corsi azionari delle imprese manifatturiere vanno alle stelle, soprattutto quando vengono annunciate le chiusure degli stabilimenti meno produttivi: anticipano i maggiori profitti ed i più succosi dividendi che derivano da politiche salariali durissime, con esternalizzazioni, delocalizzazioni e terziarizzazioni.
La
fine della Guerra fredda, con l'integrazione dei Paesi ex-comunisti nella Unione europea negli anni Novanta,
ha accelerato la competizione salariale internazionale a danni dell'occupazione industriale in Italia.
I vincoli alla lira che furono posti dallo SME, in cui siamo rientrati nel '96 dopo la svalutazione del '92, ma ad un tasso di cambio poco conveniente che fu poi adottato al momento dell'adozione dell'euro, hanno reso impossibile una svalutazione competitiva: mentre l'alto debito pubblico imponeva una politica di bilancio continuamente restrittiva, a partire dal 2001 l'ingresso della Cina nel Wto ha magnificato a suo favore il vantaggio dei bassi salari nel commercio internazionale.
L'Europa, e l'Italia in particolare, sono rimaste strette in una duplice morsa competitiva: quella interna dei Paesi del nord-est europeo e quella esterna della Cina e degli altri Paesi del sud-est asiatico.
A partire dal 2012, per compensare il disavanzo commerciale ormai strutturale e la posizione finanziaria netta sempre negativa,
in Italia viene adottata una politica di feroce repressione salariale e fiscale: il riequilibrio dei conti con l'estero può essere conseguito solo riducendo i costi del lavoro. Solo così le imprese esportatrici possono riconquistare quote di mercato, aumentare i margini di profitto e portare finalmente in attivo la posizione finanziaria dell'Italia nei confronti del resto del mondo.
Per la prima volta nella Storia unitaria, l'Italia non è più un debitore ma un creditore finanziario.
Ci pensano però la crisi sanitaria globale del biennio 2019-2020 e poi la guerra in Ucraina, con le sanzioni alla Russia che sconvolgono gli equilibri energetici, a cambiare ancora una volta il quadro di riferimento.
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