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Cronache tedesche

Là dove non si parla che di Europa.

I paesi che vogliono mantenersi in surplus non lo fanno per accumulare riserve su cui perderanno, ma per mantenere forte e competitivo il loro apparato industriale e produttivo. Non ragionano come gestori di portafoglio, ma come conquistatori di quote di mercato.

Se l’euro saltasse, ipotizzando un riallineamento del 20 per cento, la Germania vedrebbe i suoi crediti deprezzati di 130 miliardi. Non se ne accorgerebbe nessuno, ma tutti i tedeschi si accorgerebbero della perdita di competitività e della crescita penalizzata. In un mondo che crescesse molto sarebbe più facile riorientare l’export tedesco, ma con una crescita anemica la contrazione dei mercati di sbocco mediterranei avrebbe ripercussioni non trascurabili. La Bundesbank sceglierebbe allora di seguire la strada della Banca Nazionale Svizzera e stamperebbe marchi liberamente in modo da evitare un apprezzamento eccessivo. Più che parlare di disastri c’è da chiedersi se ne varrebbe la pena.

Un’altra illusione è quella che, proponendo ogni giorno ai tedeschi un modo per mutualizzare il debito (eurobond, eurobill, fondo di ammortamento), questi prima o poi ci cascheranno e cederanno. Succede invece che i tedeschi stanno cominciando loro a elaborare schemi per noi dove la sostanza è che, a pagare, dovremmo essere noi. Ecco dunque il Diw di Berlino, uno dei cinque grandi istituti di ricerca economica, uscirsene con una proposta dettagliata di patrimoniale e prestito forzoso tutta pensata per noi italiani (e in parte per i portoghesi, non per gli spagnoli).

I tedeschi hanno una lunga esperienza su queste cose. Nel 1913, per finanziare il riarmo, il Reich impose una patrimoniale tutto sommato contenuta e pari all’1.7 per cento del Pil. Finita (e persa) la guerra, la Germania si ritrovò con un debito pari al 180 per cento del Pil, cui si aggiunsero i risarcimenti imposti dai vincitori. Nel 1919 fu varata una patrimoniale durissima, con aliquota marginale del 65 per cento, da pagare a rate nei successivi 30 anni. Ci furono ingenti fughe di capitali e l’inflazione (a sua volta una tassa) rese irrisoria la riscossione in termini reali, tanto che la tassa fu fatta decadere già nel 1922.

Nel 1923 si ricorse a un prestito forzoso pari al 10 per cento del patrimonio. Il prestito dava interesse e aveva un piano d’ammortamento, ma fu restituito inizialmente in carta resa priva di valore dall’inflazione e fu poi trasformato retroattivamente in una patrimoniale. Un altro prestito forzoso fu imposto allora alle imprese nel 1924.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1949, fu imposta una patrimoniale ad aliquota progressiva (la marginale al 50 per cento) calcolata sugli asset di fine 1948 e da pagare in rate trimestrali nei 30 anni successivi. Lo stock di capitale era stato severamente ridotto dalla guerra, ma l’imposta produsse i risultati che ci si era proposti e ridusse del 60 per cento il debito originario. L’imposta fu pesante negli anni Cinquanta, ma la forte crescita degli anni Sessanta e l’inflazione degli anni Settanta ridussero di molto il peso reale delle rate, che i tedeschi finirono di pagare nel 1979.

Il governo socialdemocratico-liberale introdusse nel 1982 un prestito forzoso per persone fisiche e giuridiche destinato a finanziare l’edilizia sociale. La riscossione fu interrotta nel 1985 da una sentenza della suprema corte, che la dichiarò incostituzionale. Da allora nessuno ha mai più parlato, in terra tedesca, di finanza straordinaria.
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