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Una Apple al giorno...

Apple e Facebook: bolla e bufala mediatica?

“La società di consumo pone alla base del proprio costrutto la distinzione tra valore d’uso e valore simbolico o di immagine degli oggetti. Il consumo viene quindi a svolgere un ruolo sociale fondamentale: Produce infatti delle identità sociali immediatamente acquistabili e scambiabili sul mercato, per ridurre la complessità sociale, produce cioè delle immagini prefabbricate e totalmente pubblicitarie, nelle quali potersi identificare e grazie alle quali interagire con gli altri individui (Codeluppi, 1990). Ciò significa che il consumo diviene sempre più comunicazione e immagine e sempre meno funzione. Così i comportamenti di consumo, alla ricerca di nuove forme di coscienza di gruppo, offrono attraverso gli oggetti (abiti, accessori ecc.) nuovi simboli di identità, originando diversi stili di vita che, trascinati dalla comunicazione, affermano le mode.” (…)

“Il consumatore, comprando i prodotti, sempre meno ne acquista le caratteristiche fisiche e le prestazioni e sempre più i tratti di personalità e gli elementi di natura comunicativa: compra cioè delle immagini con cui comunicare agli altri i propri valori. (…) La marca si alimenta della comunicazione, il cui ruolo è quello di attrarre emozionalmente il consumatore, esaltando la differenziazione e il mondo in cui si colloca e vive il prodotto. Alla competizione nelle prestazioni base e dei benefici specifici della marca, si aggiunge quindi la competizione dei mondi delle marche che coinvolgono più o meno fortemente i consumatori, spingendoli alla fedeltà di marca” (tratto da “La Comunicazione d’azienda”, di Collesei e Ravà).

Torniamo al concreto quotidiano. Se trovare un lavoro diventa sempre più complesso, tra un like di qua e uno share di là, su internet si accumulano invece contatti molto utili. Questa web popolarità nella maggior parte dei casi è aria fritta ma a volte può essere una vera miniera d’oro: grazie alle nuove tecniche di personal branding si può racimolare un bel gruzzoletto, cedendo spazi virtuali. Ma internet non è solo questo: tutti i grandi marchi propongono attività on line da cui ricavare qualche premio succulento. Ogni click vale un credito per partecipare a un instant win, che anche se va male ti iscrive a un contest in cui potrai in ogni caso essere estratto nel concorso finale: i premi sono sempre gli stessi, dal viaggio negli Emirati Arabi al cellulare di nuova generazione, perché per essere felici basta davvero così poco. E così accade che un prodotto (o un marchio), causa sovraesposizione mediatica cessi progressivamente di essere “oggetto del desiderio” di per sé, per diventare “premio del concorso” o “bonus di abbonamento”. Come strategia di marketing è vecchiotta (il meccanismo del premio finale in cambio della fedeltà al brand è quello che propongono quasi tutte le religioni dalla notte dei tempi) ma potrebbe anche funzionare in tempi di vacche grasse, dove l’utente invece di aspettare corre in negozio. In tempi magri, invece, un numero crescente di utenti aspira al prodotto, ma preferisce averlo dopo come gadget piuttosto che pagarlo subito fully priced.

Se il titolo del prodotto in questione è leggermente sovracapitalizzato (solo 1,5 volte l’intera borsa italiana, ad esempio), può crearsi un po’ di volatilità.

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