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Superstizioni

Vendere in maggio. Oppure, meglio ancora, in aprile.

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Tommaso d’Aquino contrappone l’irreligiosità, un difetto di religione, alla superstizione, un eccesso di religione. Il superstizioso, afferma, adora Dio in modo improprio oppure adora entità diverse da Dio. Meno finemente, l’Illuminismo giacobino, nelle sue forme hebertiste e montagnarde, mette insieme religione e superstizione e le condanna entrambe nel nome della dea Ragione.

Da due secoli la superstizione viene studiata non per la sua eventuale utilità, ma come oggetto di analisi da parte dell’antropologia o, in quanto malattia ossessivo-compulsiva, della psichiatria. Il superstizioso è dunque primitivo, tendenzialmente povero, sicuramente incolto, probabilmente vittima. Se insiste va curato con un inibitore della ricaptazione della serotonina.

In realtà si potrebbe anche essere un po’ meno rigidi. I Romani, probabilmente il popolo più superstizioso di tutti i tempi, conquistarono il mondo e furono anche molto tolleranti verso le culture che accettavano il loro primato politico. Newton, come ebbe a scrivere Keynes, fu l’ultimo dei maghi e dedicò più tempo e passione alla ricerca della pietra filosofale che alla gravità o al calcolo infinitesimale.

Il confine tra superstizione e scienza è forse più sottile e confuso di quanto si immagini. Alla base c’è comunque un post hoc ergo propter hoc. Alla roulette mi metto una certa cravatta perché è quella che indossavo la prima volta che ho vinto.

Consumiamo da due secoli combustibili fossili, fa più caldo di una volta, il riscaldamento globale è antropogenico.

I Romani, gente pratica, usavano la superstizione finché funzionava. Se una certa pratica non dava buoni risultati la cambiavano. Se la pratica alternativa non funzionava si cambiavano gli aruspici. Come nella teoria di Lakatos sui programmi di ricerca scientifica, creavano una cintura protettiva di teorie ad hoc a difesa della loro teoria generale ogni volta che qualcosa interveniva a falsificarla. (Nella foto: Aruspice romano esamina le viscere di un toro. Età traianea. Parigi. Louvre.)

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