Se non si accetta questa spiegazione e si insiste nello spiegare il ribasso con i rischi di recessione ci si trova davanti a un problema logico.
Se c'è davvero un rischio imminente di recessione, perché i bond non lo prezzano? L'unico modo per riconciliare rischio di recessione e tassi che salgono invece di scendere è che la Fed voglia espressamente provocare una recessione. Questo in passato è successo (si pensi alle due recessioni provocate dalla Fed di Volcker per abbattere l'inflazione nei primi anni Ottanta) ma non è certamente nelle intenzioni di Jay Powell. Se Powell alza i tassi sotto lo sguardo furente di Trump è perché pensa che l'economia americana sia in grado di reggere il colpo, non per mandarla in recessione.
Quanto verranno alzati ancora i tassi? Richard Clarida, la testa più brillante e capace di visione del board della Fed, ci spiega oggi la formula. A pesare sul numero di rialzi non saranno necessariamente la forza della crescita o il numero sempre più basso di disoccupati ma l'inflazione. La Fed, in altre parole, non cercherà di indovinare a quali conseguenze inflazionistiche porteranno crescita e pieno impiego, ma si limiterà a guardare l'inflazione effettiva. Se questa sarà stabile, ci potrà essere tutta la crescita che si vuole senza che la Fed alzi i tassi più di tanto. Ci pare un'indicazione preziosa per i mercati, che ragionano in termini di curva di Phillips più di quanto non ci ragioni la Fed.
Che fare allora? Dopo dieci anni di rialzi i portafogli sono mediamente già investiti abbastanza in rischio, per cui ci viene da suggerire di comprare qualcosa a 2700 solo a chi ha venduto qualcosa a 2900. Chi non l'ha fatto può stare fermo un giro e aspettare un nuovo rialzo per vendere. In un bull market maturo, ma ancora vivo, l'errore più grave è di diventare avidi. Detto questo, non raccomandiamo nemmeno di vendere, perché non c'è recessione alle viste e perché, finita la correzione in corso, novembre e dicembre saranno dedicati a un bilancio generale del 2018 in un clima meno penitenziale dell'attuale.
Oggi, a 2700, siamo sugli stessi livelli di inizio anno. Non è né impossibile né così raro che un anno che vedrà una crescita degli utili superiore al 20 per cento si chiuda con una performance azionaria pari a zero. È però difficile ipotizzare che si chiuda in negativo. Da qui a fine anno c'è più upside che downside, ma è sempre possibile (anche se non molto probabile), che la correzione in corso, dopo una pausa, riprenda e vada a toccare i limiti inferiori del 2018. Per questo calma, prudenza e niente avidità.
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