Gli altri che vanno bene non riescono a spiccare il volo e si limitano a essere piattaforme produttive di multinazionali straniere (Malesia, Indonesia, Messico, Vietnam). Altri ancora (Argentina, Turchia) vanno ripiegandosi su se stessi.
Le
opportunità d'investimento in tutti questi paesi non mancano, ma non sono più legate al loro emergere bensì a circostanze contingenti come l'essere produttori di petrolio o di metalli industriali.
Venendo ai nostri mercati,
il nervosismo vero, al momento, è più sulla normalizzazione monetaria che su omicron. Se fosse su omicron, i titoli stay at home andrebbero bene e invece li vediamo deboli come il resto della tecnologia, presa di mira come proxy dai tassi.
Abbiamo sempre detto e ribadiamo che per il mantenimento di un buon tono delle borse la crescita dell'economia globale conta di più dell'inflazione. I dati di crescita sono in netta prevalenza buoni e spesso molto buoni.
Quanto all'
inflazione, possiamo dire che
è diventata una priorità per l'amministrazione Biden. Il dollaro forte, la conferma di Powell alla Fed con il via libera della Yellen, l'
accorciamento del tapering, l'offensiva diplomatica sul petrolio e la messa sul mercato delle scorte strategiche, tutto indica che contenere l'inflazione e riuscire ad arrivare a un dato mensile che ne indichi il rallentamento sono una priorità tattica. Avere un'inflazione che scende significa avere una possibilità in più di convincere il senatore Manchin ad approvare il
Build Back Better, che è la priorità strategica.
Attenzione, però.
Il petrolio scende per ragioni politiche, ma i suoi fondamentali sono sempre più forti. L'inflazione strutturale, quella che ci accompagnerà nei prossimi anni quando sarà passata l'ondata transitoria, non è destinata a lasciarci, ma è un problema di medio termine.
Insomma,
per ora c'è da preoccuparsi eventualmente solo del virus. Il resto va bene.
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