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I nuovi orsi

La forza dei tassi a lungo eroderà i multipli azionari?

Sono rimasti in pochi a ipotizzare una correzione dei mercati azionari nei prossimi mesi. Il consenso, nonostante le incertezze degli ultimi giorni, rimane quasi unanime nel prevedere non solo un'agevole difesa dei massimi storici raggiunti, ma un ampio spazio per ulteriori rialzi. Questo diffuso ottimismo trae spunto dall'idea che da una parte i tassi, prima o poi, scenderanno in ogni caso, dall'altra dal buon andamento dell'economia globale e dai profitti che non crescono più solo per una ristretta élite tecnologica, ma per quasi tutti i comparti.

Nella visione degli ottimisti, in questi ultimi due anni, c'è stato un graduale cambiamento di peso nella ponderazione dei fattori positivi. Finché ha prevalso l'idea del soft landing è stata l'ipotesi di forti e continui tagli dei tassi a sostenere l'azionario. Oggi che quasi tutti hanno adottato il paradigma del no landing, le attese di riduzioni dei tassi sono più contenute ma sono più forti, in compenso, le attese di crescita di fatturato e utili delle società.

Quanto ai pessimisti, il mutamento è stato ancora più radicale, perché ha comportato la capitolazione o l'uscita di scena della loro prima generazione, quella del 2022-23. Questa, si ricorderà, basava la sua visione sull'ipotesi, o per meglio dire la certezza, di una recessione imminente. La recessione però non c'è stata e invece del bear market c'è stato un rialzo azionario imponente che solo nella sua ultima fase, iniziata nel novembre 2023, ha sfiorato finora il 30 per cento (e sfiora il 130 per cento se si parte dai minimi del 2020).

Negli ultimi tempi si è però andata formando una seconda generazione di orsi, intellettualmente più sofisticata della prima. La loro analisi è molto interessante perché parte da un'analisi critica delle ragioni per cui 550 punti base di aumento dei tassi e rendimenti reali vicini ai due punti percentuali non hanno portato a una recessione.

La prima generazione, dicono, ha pensato che la stretta monetaria avrebbe agito nel modo divenuto classico dagli anni Ottanta alla Grande Crisi Finanziaria del 2008, ovvero attraverso una forte pressione sui debitori privati. Nel vecchio schema i tassi salgono, quelli che hanno comprato la casa col mutuo o l'auto a rate soffrono e una parte di loro diventa insolvente. Questo crea problemi alle banche, che irrigidiscono le condizioni per i loro finanziamenti e ne riducono il volume. Parallelamente, le imprese investono meno e alcune cominciano a licenziare. Per concludere, le banche subiscono perdite dal loro portafoglio titoli, diventano ancora più caute e chiedono ai debitori più deboli di rientrare e restituite i soldi presi in prestito.
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