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Sedie elettriche

Bollette micidiali, tra liberalizzazioni e rinnovabili

La liberalizzazione della fornitura di energia elettrica è stato uno dei più grandi bluff dell'ultimo secolo: dopo tanti anni, non c'è stato nessun vantaggio per gli utenti. Anzi: i prezzi sono saliti più dell'inflazione.

La concorrenza sul mercato langue, così si lamentano gli operatori. Ovvio, visto che ormai, in bolletta, il costo dell'energia è solo una frazione irrisoria del totale che paghiamo. La gran parte serve a remunerare le spese per il trasporto e la gestione del contatore e quelle per gli Oneri di Sistema. Queste due voci rappresentano la cassaforte di cui hanno le chiavi e la combinazione gli operatori e gli enti che si aggrovigliano.

Tra produzione, trasmissione, dispacciamento, commercializzazione, scorte strategiche, oneri per le rinnovabili, capacity payment, è un fortino inespugnabile di interessi colossali e particolari, con torri e torrette, ponti levatoi e fossati. Ognuno presidia ed appozza nel borsellino degli utenti, come può, mettendo il suo carico. C'è un groviglio inestricabile di soggetti pubblici che bazzicano nel settore energetico e delle rinnovabili: da Terna che si occupa della trasmissione all'Acquirente Unico che fa le gare e fissa i prezzi, dal GSE che gestisce il settore delle rinnovabili all'Enea, di cui non è noto il contributo recato alla collettività. Si dovrebbe occupare, secondo statuto, delle energie alternative, ma è scomparso da anni dagli schermi. Meglio non parlare della attività di decommissioning delle centrali nucleari: un impegno che pare titanico, quello della Sogin, ancorché si tratta di centrali che non siano mai state completate, tranne qualche preistorica eccezione. Che cosa ci sia di pericoloso da smantellare, davvero non si sa. Di soldi, comunque, ne girano parecchi.

Cominciamo con la prima idiozia, quella della vendita forzata delle Genco da parte dell'Enel: fu obbligato dall'Antitrust a vendere una serie di centrali al migliore offerente, per aprire il mercato della generazione elettrica. Con due conseguenze assurde: la prima è che, essendo le centrali già costruite, non si poteva che continuare a gestirle, con tutti i vantaggi e gli inconvenienti esistenti. Una centrale a carbone, quella rimaneva; una ad olio combustibile, pure. In pratica, il loro costo di esercizio non poteva cambiare. Cambiava una sola cosa: l'incasso della vendita della energia prodotta andava nelle tasche di chi aveva comprato le centrali. Si dovevano mettere a gara i siti, non le centrali, per selezionare i soggetti che avessero proposto la migliore soluzione dal punto di vista ambientale e del risparmio energetico.

Seconda assurdità: che fine hanno fatto i proventi incassati dalla vendita delle centrali? Invece di essere investiti in Italia, per un sistema elettrico più efficiente dal punto di vista della trasmissione e delle distribuzione, sono serviti per fare shopping in Spagna e Sudamerica. Già, ormai l'Enel era una società per azioni, quotata sul mercato, che doveva fare gli interessi degli azionisti e non dell'Italia. Peccato che quelle centrali erano state costruite con i soldi dello Stato, e che l'Enel stesso sia nato con la privatizzazione di imprese private, pagate nel 1957 a peso d'oro.

Fosse solo questo, potremmo dire che i cittadini italiani sono stati bastonati a sufficienza.

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