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Avvoltoi sulle banche

Più vanno male, più si affollano consulenti, avvocati, vigilanti...

Chiamateli come volete: avvoltoi, corvi, iene.

In realtà sono fior di professionisti che si aggirano attorno alle banche. Per alleggerirle dalle sofferenze, sono pronti ad offrire i migliori servigi; per accertare le malefatte della passata dirigenza sono in grado di passare in rassegna i crediti erogati in decenni; per ristrutturare il modello di business hanno pronti piani di ristrutturazione che saranno pagati con lacrime e sangue dai dipendenti. Intanto incassano parcelle da capogiro. Più una banca è in difficoltà e più afferrano la preda, dilaniandola.

Tanto, non c’è niente altro da fare per guadagnare, oggi, con la crisi che c’è. I fallimenti non più rendono niente, visto che tutto quello che c’era da portare via è stato prelevato in tempo: ai liquidatori non rimane niente di niente. Di imprese nuove non se ne aprono, e gli stranieri che comprano quelle aziende buone ancora sul mercato vanno per le spicce: i venditori italiani non devono fare altro che firmare la cessione ed incassare l’assegno. Per essere spolpati, ad attenderli c’è la solita fila di consulenti finanziari, di private banker, di gestori dei Fondi. Vanno tutti a commissione, incassano la loro percentuale in ogni caso, anche quando l’investimento è in perdita.

E così, il business finanziario, legale e della consulenza è concentrato sulle banche, tutte più o meno in difficoltà, tutte alle prese con l’enforcement, la compliance, la due diligence. Sono le parole d’ordine che servono per incutere terrore: tra regole interne ed internazionali sulla vigilanza prudenziale, normative antiriciclaggio, report su ogni materia possibile ed immaginabile, in Banca non si fa altro che produrre carta su carta.

C’è un consulente esterno per tutto, un esperto per la qualsiasi: chi si occupa dei rapporti con il mercato, chi di quelli con le autorità vigilanti, chi degli aggiornamenti normativi, chi della valutazione degli asset, chi dell’aggiornamento delle garanzie. C’è chi avverte del futuro, tempestoso, e comincia a dare le dritte sulla necessità di mettere un warning sui clienti che ipoteticamente potrebbero avere difficoltà in futuro. Al peggio non c’è fine, ma intanto si incassa.

E poi, c’è il big business, quello delle sofferenze: c’è lo studio legale che prepara la gara per selezionare i servicer, chi studia il portafoglio degli NPL per segmentarlo a seconda del grado di rischiosità dei crediti, chi studia come creare una società veicolo di cui la Banca comunque sarebbe in parte proprietaria per rientrare nei guadagni derivanti dalla futura liquidazione dei crediti, chi va in giro a vedere se al Tesoro sono interessati a garantire le quote migliori e se quelle peggiori possono essere impacchettate e regalate agli azionisti. Tanto, valgono zero: non le comprerebbe nessuno e sono solo rogne. Serve comunque una bara, anche questa legale.

Insomma, nelle Banche non c’è nessuno che pensa ad erogare il credito, a finanziare l’economia. Sono state messe nel mirino, come accadde negli anni Novanta con le Partecipazioni statali: andavano spolpate, smontate, svendute.

Avvoltoi sulle Banche.

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