C'è un nesso inquietante, quasi diabolico, tra i due mantra ricorrenti di questi tempi: al pericolo per il genere umano che deriva dal riscaldamento globale si è aggiunto da circa un anno il pericolo per la vita degli uomini che deriva da una pandemia preannunciata come interminabile.
La colpa è di un
virus in continua mutazione, di fronte a cui non c'è una "cura" come avviene per le altre malattie, che va contrastato attraverso la "
prevenzione", sia in termini di distanziamento sociale che di vaccini.
Questi due "pericoli" fanno sì che gli Stati impongano misure che stanno condizionando in modo sempre più ferreo i nostri comportamenti quotidiani.
La "
Sicurezza degli uomini" e la "
Protezione della vita umana" sono concetti profondamente diversi; nella lingua inglese, la prima viene espressa con il termine "
Security", mentre la seconda con quello di "
Safety". In italiano, invece, usiamo quassi indistintamente il termine "
Sicurezza".
Da millenni,
lo Stato si è garantito il monopolio della forza per garantire la sicurezza: il diritto penale gli conferisce la potestà punitiva affinché i cittadini non ricorrano direttamente alle armi per difendersi dalle aggressioni. Caos, vendette, soprusi, sarebbero la regola: per questo interviene lo Stato: "
ne cives ad arma ruant", dicevano i Romani.
I controlli di identità, la disciplina sulla detenzione delle armi, le misure di polizia di sicurezza volte a tutelare la liberta personale e la disponibilità dei beni, quelle di polizia giudiziaria volte a rintracciare i colpevoli di ogni tipo di reato, le intercettazioni delle comunicazioni, le segnalazioni sulle transazioni finanziarie sospette, i controlli agli aeroporti ed agli stadi con i metal detector. La lista delle misure è lunghissima.
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