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Percezione e realtà

Curiosi scostamenti tra narrazioni e fatti

Questione di punti di vista, dunque. Le svalutazioni di chi non ci piace fanno diventare poveri, le nostre ci fanno invece un gran bene. L’euro forte era segno della fiducia che il mondo aveva nel progetto europeo, l’euro debole è segno dell’astuzia della nostra banca centrale.

Detto per inciso, la banca centrale russa, ai cui vertici siedono donne e uomini che hanno conseguito il PhD al Mit o a Harvard, ha applicato e continua ad applicare quasi alla perfezione il manuale, che ai grandi produttori di materie prime prescrive di indicizzare il cambio al corso di quello che esportano. È anche normale che la banca centrale abbia inizialmente tardato ad aggiustare il rublo. Lo si fa sempre, per permettere alle imprese indebitate in dollari di acquistare velocemente valuta a un cambio ancora favorevole.
Quanto alla Svizzera, che da quarant’anni rivaluta costantemente il franco svizzero rispetto al marco e poi all’euro, onore al merito. Diventa sempre più ricca e le sue imprese restano competitive spostandosi su produzioni più sofisticate.

Venditore di giornali in Center SquareAnche l’impoverimento di Eurolandia in seguito alla svalutazione ha naturalmente un senso, ma bisogna ammettere con tristezza che, insieme alla monetizzazione del debito pubblico attraverso il Quantitative easing, è la presa d’atto della rinuncia a intraprendere strade più virtuose (aumento della produttività, riforme strutturali, aumento della flessibilità dei fattori).

Tornando ai giornali vecchi, miniera inesauribile di riflessioni, fa un certo effetto leggere, su quasi tutti i numeri di dicembre, previsioni foschexporte sul destino degli esportatori di materie prime. A guardare oggi, il disastro appare quanto meno rinviato. La borsa saudita guadagna (tutti i dati sono in euro) il 20 per cento da inizio anno, il Messico il 5, il Cile col suo rame l’8, l’Australia e il Canada, con ogni bene immaginabile nel sottosuolo, rispettivamente l’11 e il 3.

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