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Oro opaco

La caduta delle materie prime non significa né deflazione né recessione

Tra i venditori è interessante notare la forza quasi disperata con cui i produttori marginali, quelli tra la vita e la morte, continuano a estrarre. Miniere che in altre situazioni sarebbero state chiuse da tempo e società aurifere che in tempi normali sarebbero già fallite continuano a trascinarsi (e a scaricare merce sul mercato) perché la cassa che bruciano è finanziata da emissioni di junk bond tossici. In un mondo di tassi a zero e di liquidità sovrabbondante i creditori inseguono i debitori non per richiedere indietro i loro soldi ma per offrine loro degli altri. E poiché il management di una società mineraria in difficoltà in un bear market è costituzionalmente incapace di fare l'unica cosa che sarebbe razionale, liquidare la società e restituire il recuperato agli azionisti, ecco che gli sciagurati accettano i soldi, continuano a estrarre e fanno scendere ulteriormente il prezzo dell'oro.

Miniera d'oro in ArizonaIl Quantitative easing e l'abbondante liquidità, ideati per sostenere la domanda e ravvivare l'inflazione, provocano perversamente il sostegno artificioso dell'offerta e mantengono in vita zombie che, facendo scendere i prezzi, creano altri zombie in un circolo vizioso. Questa dinamica è evidente su una scala molto più grande anche sul gas e sul petrolio e, in generale, su tutte le materie prime.

Dal lato dei compratori (che sono in molti casi produttori di materie prime) si nota invece debolezza. La Russia, che produce oro e vorrebbe difenderne il corso, non ha più i soldi per farlo. A restare in campo sono quindi solo gli investitori individuali asiatici, i cui redditi crescono, con l'eccezione dell'India, più lentamente che negli anni scorsi.
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