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Investire in un mondo artificiale

La distinzione tra naturale e artificiale è arbitraria e convenzionale. Nel senso comune è artificiale ciò che è intenzionalmente prodotto dagli uomini, mentre è naturale tutto il resto. C'è in sottofondo l'idea che se noi costruiamo una città è perché siamo soggetti liberi di progettare creativamente, ma se le formiche si costruiscono un formicaio è perché glielo impongono la biochimica e l'istinto.

L'animalismo e l'ecologismo, due filosofie new age così tipiche della nostra epoca ideologicamente dissociata, spingono però il rapporto naturale/artificiale in direzioni opposte. L'animalismo riconduce l'umano all'animale, e quindi al naturale. L'ecologismo, all'opposto, radicalizza la distinzione e considera potenzialmente maligno, in quanto non naturale, tutto quello che riguarda l'uomo. Un certo ecologismo radicale si spinge a considerare l'umanità un corpo estraneo e a desiderarne l'estinzione, che ristabilirebbe l'armonia violata della natura.

Altrettanto arbitraria e convenzionale è la distinzione naturale/artificiale nelle scienze umane. La società civile è naturale, lo stato è artificiale. Il mercato è naturale, la pianificazione è artificiale. I mercatisti pensano che il mercato sia lo stato di natura buono. I pianificatori pensano che il mercato sia una perversione dello stato di natura. Gli antimercatisti novecenteschi pensavano che lo stato, dall'alto, dovesse togliere spazio al mercato. Gli antimercatisti del nostro secolo pensano che le logiche della cooperazione e del dono (dal volontariato al crowdfunding) debbano togliere, dal basso, spazio al mercato.

(Nell'immagine: Fernand Léger. La città. 1919)
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