Prima di partire lancia in resta a
criticare il solito braccio corto della Bce bisogna fare qualche considerazione.
La prima è che fino a due mesi fa avremmo tutti fatto i salti di gioia all'idea di un
ribasso dei tassi e a quella di un
prolungamento del Quantitative easing di sei mesi. È vero che l'inflazione era bassa e tale è rimasta, ma è anche vero che l'impressione era allora che alla Bce, in qualche modo, andasse bene così.
Anche due settimane fa, fino all'enfatico discorso di Draghi sulla disponibilità a fare tutto quello che occorre per fare
risalire l'inflazione, saremmo stati tutti soddisfatti delle misure prese oggi.
La seconda considerazione è che il vero evento di questo dicembre monetario, senza nulla togliere alla Bce, è il
rialzo dei tassi americani che si profila sempre più netto per il 16, quando
la Fed porrà termine a una fase storica, durata sette anni, di tassi a zero. Mentre per l'Europa si tratta semplicemente di proseguire su una strada, per l'America siamo di fronte a una svolta di 180 gradi in cui non è in questione solo un rialzo dello 0.25 per cento, di per sé abbastanza trascurabile, ma l'avvio di un lungo ciclo che ci terrà occupati per i prossimi due-tre anni.
(Nella foto: Natale minimalista)