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Trump rally

Non è finito, ma attenzione a quello che si spera

Ogni rialzo ha i suoi gufi e il Trump rally, girando intorno a una figura che suscita forti passioni, ne ha ancora di più. Oltre ai permabear e ai bollofobi abituali, oltre a tutti quelli che continuano ad aspettare fiduciosi l'implosione dell'Europa e il crollo della Cina abbiamo questa volta tutti quelli che erano arrivati troppo leggeri alle elezioni, quelli che hanno venduto sulla vittoria di Trump e non hanno più comprato e, soprattutto, tutti quelli (e sono tanti anche tra gestori ed economisti) in cui la passione politica fa premio sulla capacità di analisi e sulla voglia di fare soldi o previsioni corrette. Poiché la passione politica esiste, eccome, anche tra i laudatores del trumpismo, lo sforzo di essere distaccati va raddoppiato.
Essere ideologici, nei mercati, non paga mai.

Fino a questo momento l'obiezione più interessante al Trump rally l'ha fatta Trump stesso quando, in campagna elettorale, ha parlato più volte (anche su ispirazione di Carl Icahn) degli elevati livelli raggiunti dai mercati azionari e dell'artificiosità e politicità (nel senso di politics, non di policy) dei tassi bassi. State molto attenti, ha raccomandato più volte agli elettori, e ha anche agito con coerenza, liquidando tra l'estate e l'autunno tutto il suo portafoglio azionario, in una fase in cui, come ha poi rivelato, non pensava che avrebbe
vinto le elezioni.

La controbiezione al Trump rally l'ha fatta Carl Icahn quando è scappato di corsa dalla Trump Tower la notte della vittoria per correre a comprare un miliardo di quelle azioni che il resto del mondo, terrorizzato, stava buttando via.

La contro-controbiezione l'ha fatta di nuovo Carl Icahn, che nei giorni scorsi ha rivelato di avere venduto una buona parte delle azioni che il resto del mondo stava disperatamente strappandosi di mano ed è tornato neutrale, lungo di singole società e corto di indici.

Un altro modo interessante di descrivere i limiti del Trump rally è quello di inquadrare il ciclo politico nel ciclo economico, come fa David Rosenberg.

(Nell'immagine: Times Square durante la campagna elettorale)
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