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Arte digitale

L'ultima frontiera dell'inflazione (e del feticismo)

È l'arte digitale l'asset che sta crescendo di valore più velocemente. Non sono le materie prime, i diritti di inquinamento, i grandi titoli della tecnologia o le azioni meme scambiate su Robinhood a scaldare questa estate bensì i gattini, i mostricciattoli e i semplici sassi disegnati (generalmente male) da ragazzini e criptati tramite blockchain. Un gattino disegnato in pochi minuti e poi trasformato in un Non Fungible Token (NFT) può essere piazzato subito per 3000 dollari ed essere poi rivenduto dal fortunato compratore per 10-15mila dollari la settimana successiva.Non c'è da stupirsi se un artista digitale un po' più professionale come Beeple, il nome d'arte di Michael Winkelmann, abbia venduto per 69 milioni di dollari Everydays, un collage elettronico. Se vi piace potete scaricarlo gratuitamente dalla rete con la stessa definizione dell'originale e godere dello stesso identico piacere artistico che provereste con la copia criptata. Il piacere aggiuntivo di quest'ultima è la firma dell'autore, che non è nemmeno disegnata sulla tela col pennello come si faceva una volta ma è una stringa alfanumerica depositata in qualche server farm.

Quando Walter Benjamin nel 1936 scriveva L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica e descriveva la perdita di quell'aura mistica di cui lo spettatore circonfonde un quadro quando questo può essere fotografato in infinite copie, la feticizzazione dell'originale era ancora a metà strada. Una fotografia di un dipinto o di una statua, dopotutto, non dà l'idea delle sfumature e può alterare la luminosità. La riproduzione elettronica di un'opera elettronica è invece veramente identica all'originale e l'aura di cui scriveva Benjamin viene trasferita dall'opera alla firma digitale. È questa che provoca l'emozione per la quale qualcuno tira fuori 69 milioni.
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