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Lo vedi, ecco Marino...

Non è la Sagra dell’uva, ma l’ennesimo inutile rogo

Intorno alla vicenda del Sindaco di Roma, Ignazio Marino, ormai dimissionario dopo appena tre anni dall'elezione, è tutta una corsa ad accatastare fascine sul falò che oggi brucia tutte le parole d'ordine e le speranze di questi anni. Dal ricambio della classe dirigente alle primarie per la scelta dei candidati, dalla elezione diretta del sindaco allo smantellamento dei partiti tradizionali: va tutto peggio di prima, per la gioia di chi vuole affondare la democrazia. Fare sempre più soldi e gestire sempre più potere senza mostrarsi.

L'elenco delle presunte colpe è interminabile: Marino salì sorridente sul carro del Gay Pride, ricorda taluno; perdipiù, aggiunge un altro, osò trascrivere matrimoni tra omosessuali celebrati all'estero. Chiuse definitivamente la discarica di Malagrotta, si ribatte. Ma non lottò con sufficiente successo contro l'inefficienza, a dire il vero atavica: la Città eterna è sporca come mai prima; i trasporti pubblici lasciano a desiderare, tra ritardi e scioperi. Un convoglio della metropolitana ha perduto in corsa un pacco di batterie giusto la settimana scorsa: davvero scandaloso!

Gli errori si accumulano, dall'inizio del mandato alla sua prematura conclusione: dalla chiusura improvvisata e caotica di via dei Fori Imperiali, decisa appena fu eletto, ai pagamenti per alcune spese di rappresentanza che non sarebbero state tali. Fatale fu l'aver ordinato a cena una bottiglia di vino friulano, dal prezzo di circa 60 euro: avesse bevuto del Cannellino dei castelli romani, magari servito sfuso, nessuno se ne sarebbe mai ricordato.

La verità è che manca un progetto per la Città. Ma non c'è mai stato: l'unico motore, da quarant'anni, è il comparto immobiliare, con i costruttori che hanno fatto da padroni. Roma è senza una rete di metropolitane, senza sistema tranviario: è un paesone di due milioni di persone. Da quando il settore edilizio si è bloccato, con i costruttori indebitati verso le banche ed un invenduto consistente, non c'è più alcun terreno di scambio con la politica: non girano né progetti, né tantomeno soldi. Lo stesso sistema commerciale al dettaglio, fondamentale per la costruzione del consenso diffuso, si è indebolito assai per la lunghissima crisi: i negozianti oggi hanno da pensare a ben altro che al Sindaco.

Non c'è alcun volano produttivo che traina, neppure il settore culturale: Cinecittà è scomparsa da anni; la Rai non produce in città; i cinema si sono traslocati nelle multisale del centri commerciali di periferia; i teatri vivacchiano. Solo il Teatro dell'Opera e l'Auditorium stanno reggendo con dignità. Il centro di Roma, chiusi i negozi, la sera è un deserto. Il paragone con Parigi o Londra è impietoso.

La distanza con il Vaticano, l'altro pilastro del consenso e del potere romano, con Marino si è fatta siderale.

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