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Provocazioni coreane, frustrazioni americane

BRICS vs. G7: è la vera sfida dietro la crisi

Gli Usa vogliono riequilibrare il rapporto commerciale con la Cina e con la Corea del sud. Anche con la Germania c’è un’altra partita aperta.

La Cina, a sua volta, vuole tenere i militari americani quanto più possibile lontani dal suo territorio: per questo, ha sempre guardato con malcelato compiacimento al regime della Corea del nord. Questo provoca in continuazione, con lanci di missili ed esperimenti nucleari, gli alleati americani, il Giappone e la Corea del sud.

La frustrazione statunitense è quindi duplice: commerciale e militare. Non solo non riesce a riportare in pareggio i conti commerciali con la Cina e la Corea del Sud, ma non è neppure in grado di mettere a tacere la minaccia nucleare della Corea del nord.

Nel frattempo, Cina, Russia, India, Brasile e Sud Africa (i Paesi BRICS) tessono rapporti a lungo termine, per creare attraverso un’area geopolitica di interscambio comune, economico, monetario e di investimenti, capace di sopravanzare il G7: questa è la vera, nuova, grande sfida globale.

Gli squilibri commerciali americani con l’estero sono pesantissimi. Nei confronti della Cina, il saldo negativo è arrivato a livelli elevatissimi, sempre superiori ai 300 miliardi di dollari annui: 315 miliardi nel 2012, 319 miliardi nel 2013, 345 miliardi nel 2014, 367 miliardi nel 2015, 347 miliardi nel 2016. A giugno di quest’anno, il saldo era già negativo per 170 miliardi di dollari. Nei confronti della Corea del sud, il deficit commerciale americano è di gran lunga inferiore, ma sempre assai consistente, visto che supera annualmente i 20 miliardi di dollari.

Tra Usa e Corea del sud c’è un trattato di libero scambio, denominato KORUS: per riequilibrare i rapporti commerciali, l’Amministrazione Trump vorrebbe ritirarsene unilateralmente. Le accuse americane di scorrettezza commerciale nei confronti della Cina sono molteplici: Pechino, infatti, manipolerebbe il cambio dello yuan rendendolo artificiosamente sottovalutato rispetto al dollaro per favorire l’export; approfitterebbe in modo scorretto della tecnologia americana, per via dell’obbligo imposto alle imprese Usa che lavorano in Cina di condividere i loro brevetti nelle joint venture con i partner locali; chiuderebbe il mercato cinese ai prodotti americani, mentre il mercato americano è assai più aperto; venderebbe all’estero in dumping, soprattutto l’acciaio, danneggiando l’industria americana.

Approfittando di questa tensione prevalentemente commerciale tra gli Usa da una parte e la Cina e la Corea del sud dall’altra, la Corea del nord ha ripreso a provocare il Giappone e la Corea del Sud.

La Corea del sud è in difficoltà: deve accettare di fare manovre militari congiunte con l’alleato americano che nel frattempo le chiede di fare un passo indietro dal punto di vista commerciale, trascurando la profonda crisi economica che Seoul sta già attraversando, con il fallimento dei cantieri navali per via della caduta dei commerci internazionali e le difficoltà della Samsung dopo le esplosioni delle batterie del Galaxy Note 7. La Corea del Sud, al contrario, vede nell’interscambio con la Cina il miglior potenziale di crescita. Questo è un modo in cui la Corea del nord sta minando le relazioni tra Washington e Seoul.

Nei confronti della Cina, le provocazioni della Corea del nord hanno avuto come risposta l’aumento della spesa militare del Giappone, le manovre militari congiunte tra Usa e Corea del sud, il dispiegamento di sistemi antimissile STAAD più a ridosso della Cina e la eliminazione del limite di peso alle testate missilistiche della Corea del sud. Sono altrettante minacce portate alla sicurezza militare di Pechino, che è obbligata a reagire contro questa escalation militare nell’area. Gli americani cercano di mettere la Cina con le spalle al muro, scoprendo la sua tattica di coprire indirettamente le sortite della Corea del nord.

Ma l’escalation militare è solo una tigre di carta. Una risposta militare alle provocazioni della Corea del nord costerebbe milioni di morti, soprattutto tra la popolazione della Corea del sud e probabilmente anche in Giappone: è un costo che nessuno si può permettere di pagare, se non come reazione giustificata dopo un vero primo colpo militare della Corea del nord. Ma questo scenario non si verificherà mai: le provocazioni servono solo a creare frustrazione, a moltiplicare le divisioni nel campo avversario.
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