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Qui non si fa più credito

Le banche prestano soldi solo a chi li ha già

C'è una mutazione genetica nel sistema bancario europeo, che riflette non già la giusta preoccupazione di tutelare i depositanti quanto la fine del capitalismo fondato sulla cooperazione tra credito ed imprenditore.

Sono due, in teoria, i momenti cruciali di una azienda: quello in cui attraverso lo spirito di iniziativa si combinano i fattori produttivi, capitale e lavoro; e quello in cui si dimostra la incapacità di realizzare attraverso le vendite sul mercato un valore almeno equivalente al costo dei fattori impiegati. In questo caso, il fallimento rimette in circolazione le risorse che residuano dalla iniziativa che non è andata a buon fine.

Un punto fondamentale nello sviluppo del capitalismo è rappresentato dal credito bancario: se l'imprenditore convince la banca della bontà della sua iniziativa, questa lo giudica meritevole del credito e gli eroga la somma di capitale necessaria. Si pone qui un tema cruciale, che è quello delle garanzie: la banca rischia denari non suoi, ma che le sono stati affidati dai depositanti risparmiatori. E' quindi responsabile del buon uso di queste risorse. Tende, quindi, a limitare il più possibile i casi in cui questi denari vadano persi. Nel caso del capitale circolante, chiede di esibire gli ordini di fornitura oppure le fatture emesse a fronte di commesse già realizzate. Nel caso del capitale da investire, cerca di imporre ipoteche o pegni. In ogni caso, chiede all'imprenditore di fornire garanzie adeguate. Questa è la fisiologia del sistema.

Dopo la crisi ormai decennale che stiamo vivendo, le autorità di vigilanza sul sistema bancario si sono trovate di fronte alla crescita esponenziale delle sofferenze: casi in cui l'imprenditore, o il singolo privato che aveva ricevuto un prestito, non riesce più ad onorare le rate degli interessi e di ammortamento. Si sta facendo molto chiasso su questo punto, accusando questo o quel manager bancario di comportamenti collusivi, di prestiti concessi a soggetti che non lo meritavano, di vere e proprie malversazioni a danno della banca, dei suoi azionisti, degli obbligazionisti, dei depositanti. Questi comportamenti ci saranno stati, di certo, ma non rappresentano una patologia odierna: è la crisi generale che ha portato ad un incremento generalizzato delle insolvenze, facendo emergere quello che altrimenti sarebbe rimasto nascosto. E' solo quando l'acqua del mare si ritira per la bassa marea che si vedono i relitti affondati.

Accade, ora, che per tutelare i depositanti, le autorità di Vigilanza europee stringano in continuazione i freni: adesso è n consultazione un documento in cui si prevede che i nuovi crediti in sofferenza debbano essere svalutati completamente nel giro di due anni se sono privi di garanzie (unsecured), ovvero di sette anni nel caso che siano state assunte. In pratica, le banche devono portarli a perdite per l'ammontare lordo residuo. Finora, si considerava sufficiente una svalutazione che arrivava all'incirca alla metà del loro valore: il resto, comunque, sarebbe stato incassato con le procedure interne di recupero o con la cessione a terzi del credito. Dopo la crisi, le garanzie immobiliari, almeno in Italia, non valgono più nulla perché non c'è domanda mercato né per immobili ad uso commerciale o industriale, né per case di abitazione. I crediti non garantiti vengono ceduti all'1-2% del valore lordo: non vale neppure la pena spendere i soldi per mettere un avvocato. La crisi è vera, pesante, ed il 2018 sarà un anno nero. Le banche hanno tenuto ferme le procedure esecutive, ma ora arrivano gli avvoltoi.

La conseguenza di questa decisione della Vigilanza europea, ora in pubblica consultazione, sarà enorme: le banche saranno sempre più orientate a concedere il credito solo a chi è in grado di fornire garanzie, ben superiori all'ammontare richiesto per il prestito, sotto forma di titoli liquidabili immediatamente per un importo incrementato di qualche decina di punti percentuali. In pratica, per ottenere 100 euro in prestito, bisogna mettere a garanzia titoli di Stato, ovvero altre obbligazioni o azioni per un importo di 120/130 euro. Nessun immobile in garanzia sarà più preso in considerazione. Solo titoli liquidi, solo così la banca si sente al sicuro. Naturalmente, a questo punto la banca non avrà nessun interesse a sapere che cosa si farà con le somme date in prestito: la sua garanzia è già sufficiente per coprire il rischio di insolvenza.

Questo è il punto: se si darà credito solo a chi ha già da dare in garanzia alla banca un capitale superiore a quanto si chiede, la banca funziona solo da anticipatore di liquidità. Non giudica sul merito del credito, né fa alcuna attività di tipo imprenditoriale.

Cambia la funzione del credito, ed il senso stesso del sistema capitalistico che vede la cooperazione tra banca ed impresa nello sviluppo della produzione.

Se questo criterio fosse stato in vigore nel passato, non solo in Italia, il sistema economico non si sarebbe mai sviluppato. L'artigiano non avrebbe mai avuto le risorse per allestire la sua officina, né avrebbe mai avuto la possibilità di far crescere la sua impresa.

E' tutto davvero ridicolo: mentre agli imprenditori si chiedono investimenti, innovazione, coraggio nelle sfide, alle banche si impongono criteri di svalutazione dei crediti che rendono praticamente impossibile erogare un credito a fronte dell'esame di merito dell'iniziativa.

Quel che è peggio, siamo arrivati al cannibalismo finanziario: l'imprenditore deve innovare comunque, ed è costretto a vendere la sua azienda a chi ha già denaro sufficiente per poter fornire alla banca le garanzie necessarie per ricevere il prestito necessario per l'investimento. All'imprenditore toccherà, se gli va bene, il ruolo di manager. Ma solo per il tempo che serve per far decollare la iniziativa che aveva progettato. Poi sarà mandato via, con un bel calcione nel sedere.

Le banche prestano soldi solo a chi li ha già.

Qui non si fa più credito.

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