L'economia americana cresce, e pure tanto; ma crescono pure le importazioni dalla Cina, nonostante i dazi.
Finora, questa misura protezionistica non ha funzionato: dai dati del 2018, che naturalmente non tengono conto del maggior costo sulle importazioni che ricade sul consumatore, il
deficit commerciale americano è stato di 419 miliardi di dollari. Più alto di 43 miliardi rispetto a quello del 2017, quando fu di 376 miliardi, e di quello del 2016 quando era stato di 367 miliardi.
La ragione è ovvia: ci vorranno anni, se mai ci si riuscirà, per riportare in America le produzioni che sono state delocalizzate. E' storia vecchia:
rimettere in piedi un sistema industriale è difficile, una volta che si abbandona un segmento; fu così con gli apparecchi radio e televisivi negli anni Settanta a favore del Giappone; poi per quello automobilistico delocalizzato in Messico negli anni Ottanta; fino all'intero comparto di manifattura anche di alto contenuto tecnologico trasferito in Cina a partire dal Duemila. Basta guardare ai problemi che ha la Tesla: non riesce ancora a raggiungere i livelli produttivi necessari per dare seguito agli ordini che riceve.
I
dazi cinesi verso le produzioni americane, introdotti per ritorsione, sono stati più efficaci: le produzioni americane sono più facilmente sostituibili, soprattutto quelle di prodotti agricoli come la soia, ed alimentari come la carne di maiale. L'export americano in Cina è diminuito di 10 miliardi di dollari, passando da 130 a 120 miliardi.
Dollaro forte e crescita economica si scaricano dunque sulle importazioni americane: ecco perché Donald Trump, domenica scorsa,
ha annunciato con un tweet a sorpresa che
aumenterà al 25% la tariffa doganale del 10% che è già stata imposta su una sere di importazioni dalla Cina. Nonostante proseguano i colloqui con tra le due delegazioni, bisogna accelerare: in queste condizioni, infatti, a rimetterci sono gli Usa.
Trump è in difficoltà: deve entrare velocemente ed a ogni costo nel mercato cinese, ed ha reagito alla sua maniera, con uno strappo. I cinesi non hanno ribattuto sul piano politico, ma
la caduta delle Borse cinesi, lunedì scorso, è un brutto segnale.