Inutile, anzi impossibile, fare confronti con il Giappone o con gli Stati Uniti.
Negli USA, ancora oggi, il tasso di rendimento dei titoli del Tesoro è sempre stato positivo, anche in termini reali. Non c’è alcun motivo al mondo che giustifichi, nel raffronto, i tassi negativi sui titoli tedeschi, se non la diversa politica monetaria.
Neppure in Giappone ci sono tassi negativi. La BoJ, con la politica del tasso zero sui titoli di Stato, ha solo ridotto il costo degli interessi sul bilancio pubblico. Visto che i guadagni di produttività delle imprese vanno tutti alla riduzione dei prezzi di vendita, seguendo lo schema funzionale al mantenimento della competitività dell’export sui mercati internazionali, il ritorno per gli investitori in titoli di Stato giapponesi, che sono tutti giapponesi, risiede nell'aumento del valore reale del risparmio investito. Il colossale debito pubblico giapponese, d’altra parte, è finalizzato ad investimenti infrastrutturali che migliorano la produttività generale. I giapponesi hanno imparato dalla crisi del Nikkei: non investono più in asset il cui prezzo tende ad inflazionarsi, come gli immobili o le azioni. E se investono in titoli del tesoro americano, lo fanno per tenere basso il cambio dello yen sul dollaro.
Se la BCE avesse finanziato investimenti infrastrutturali pubblici, comprando obbligazioni emesse dalla BEI, avrebbe sicuramente ottenuto risultati migliori sia in termini di crescita economica, che di occupazione.
Ed invece, con i tassi negativi, ha sacrificato anche gli investitori sull’altare del mercantilismo: bisogna produrre ai costi più bassi possibili, sacrificando i salari dei dipendenti che il capitale dei risparmiatori.
Le conseguenze devastanti sono sotto gli occhi di tutti: l’economia dell’Eurozona è in frenata, e quella tedesca non fa eccezione. Non c’è domanda, non c’è mercato.
L’Eurozona è ferma, mentre la BCE massacra i risparmio
Il baratro dei tassi negativi
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