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Commercio con l'Estero, tra Politica e Business

Diplomazia economica, promozione del Made in Italy, finanziamenti, crediti, assicurazioni…

Ogni Paese ha una sua fisionomia economica: dal punto di vista delle materie prime che si trovano sul suo territorio, delle fonti energetiche di cui può disporre, dei terreni idonei alla coltivazione agricole e dell'allevamento, delle aree marittime e fluviali idonee alla pesca ed alla acquacoltura. Ma ancor più importanti sono le capacità di trasformazione dei prodotti in campo alimentare ed industriale: il Made in Italy è famoso nel mondo ed è già ben complicato stabilire che cosa è "made", computando il numero minimo delle lavorazioni essenziali a tal fine. Una borsa, ad esempio, deve essere fatta con il pellame di animali allevati in Italia, oppure questo può essere importato, ma tutta la lavorazione a valle della conciatura deve essere effettuato in Italia? Per l'olio di oliva, la pasta, il prosciutto, c'è un problema di denominazione di origine, perché l'attività di trasformazione è poco rilevante rispetto al valore intrinseco della materia prima.


Diamo per scontato che le grandi aziende, e soprattutto quelle che hanno una dimensione multinazionale, abbiano una rete propria di conoscenze di mercato e di rappresentanze in grado di soddisfare le rispettive necessità sia in termini di acquisizioni che di canali di commercializzazione. Hanno invece un problema di tutela a livello normativo, di fronte alla concorrenza portata da aziende analoghe che cercano di erodere fette di mercato oppure al fine di abbattere le barriere non doganali che vengono frapposte all'estero in campo sanitario come in quello ambientale. C'è dunque un primo livello politico di intervento, di diplomazia economica.

Ci sono aspetti finanziari, legati al finanziamento delle importazioni ed alla assicurazione delle esportazioni: qui è materia di business, che deve assicurare una parità di trattamento rispetto ad altri operatori che agiscono sullo stesso mercato. In Italia, la Sace opera in questo campo.

Ma ci sono aspetti di business che vanno oltre il semplice credito e l'assicurazione dell'attività di import-export: si tratta ad esempio del finanziamento di iniziative volte a creare strutture produttive all'estero. Qui, la questione presenta aspetti delicati, perché può essere anche una semplice delocalizzazione della produzione già in corso, in Paesi a più basso costo. Il paradosso è che l'Italia, come altri Paesi contributori netti dell'Unione europea, finanzia i contributi alla industrializzazione di altri Paesi dell'Est che sono invece beneficiari netti di fondi comunitari perché hanno un livello di reddito più basso: in pratica, paghiamo per farci fare concorrenza con le nostre stesse delocalizzazioni. Un numero inverosimile di imprese italiane ha beneficiato di questo meccanismo, riducendo la produzione e l'occupazione in Italia per spostarla all'estero, sempre all'interno della Ue.
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