Leva per riempire il buco della leva usata per riempire il buco del debito. Esiste un mercato profondo, meno manipolabile e meno isterico degli altri. Questo mercato è quello valutario. La discesa dell’Euro contro quasi tutte le valute nell’ultima settimana ha pertanto, nel linguaggio dei mercati, un significato inequivocabile:
la tregua del tempo delle parole è finita. E’ comunque fuori discussione che – se l’Europa mediterranea ha un problema – anche la Germania ce l’ha. Credo che, grosso modo e in termini molto crudi, il problema della Germania nei confronti dell’Europa mediterranea e dell’Euro in questo momento sia non dissimile da quello di capire cosa fare della mucca che si è munta per tanti anni e che ora sta esaurendo il latte.
Ma in un mondo globale, il problema dell’Europa diventa globale e investe – pesantemente – anche USA, BRIC, LATAM e quasi tutti. L’intervento di Obama e l’ultimo G20 ne sono la prova evidente. In un mondo dove i derivati ammontano a un numero imprecisato di volte (8? 10?) il PIL mondiale e dove la leva sul mercato azionario migliore e più diversificato – gli USA – ha raggiunto i pericolosissimi livelli di 2000 e 2007, è assolutamente inutile, improduttivo e superficiale prendersela con la Merkel o col ministro delle finanze finlandese. Sarebbe, invece,
utile approfondire il collegamento tra le politiche di bilancio dei paesi virtuosi e l’etica che le sottende, per capire dove stanno i loro limiti e soprattutto i nostri. Sarebbe utile mettersi nei panni dei cittadini di quei paesi e capire cosa faremmo noi al loro posto. Rischio purtroppo di ripetere quello che sto continuando a dire da molti mesi: anche non volendo vedere le similitudini – non solo tecniche – con la deflazione giapponese e la crisi Lehman, il compito che attende gli architetti dell’edificio finanziario globale nei prossimi mesi è durissimo.
I tassi sono a zero (in Europa lo 0.75% è indicativo e la BCE rifinanzia il sistema bancario praticamente a zero) e saranno mantenuti così in quanto le banche centrali non possono permettersi di rinnovare il proprio debito se non a tassi infimi, pena un rapido ritorno agli inferi del rapporto debito/PIL anche laddove questo rapporto è ora apparentemente sano. Ora, questo da un lato svuota di ogni significato di investimento la parte bond, o almeno così dovrebbe per l’homo rationalis, in quanto:
A) i titoli pubblici con rating accettabile garantiscono solo di perdere potere di acquisto reale a scadenza;
B) i corporate hanno stretto talmente tanto in termini di rischio di credito e prezzano il rischio tasso in modo totalmente incongruo in prospettiva (ma questo è comune a tutto il mondo bond, ormai mitridatizzato dai mamba delle banche centrali e devoto sacerdote della perpetuazione degli zero rates);
C) gli unici bonds che hanno un po’ di valore sembrerebbero proprio i governativi dei paesi in predefault, gli
high yield bonds, che hanno un flusso cedolare ancora notevole, e i bonds dei paesi emergenti: in effetti, high yields e bonds emergenti sono state tra le migliori classi di asset nell’ultimo periodo ma rappresentano – per definizione – una parte marginale del portafoglio a reddito fisso (e – paradossalmente – proprio da questo “reweighting” forzato dall’uscita da altre aree obbligazionarie concorrenti derivano parte se non tutta la loro forza).
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