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La centesima notte

Del Portogallo e del viaggiare che è meglio dell’arrivare.

Del Portogallo e del viaggiare che è meglio dell’arrivare

Sarò tua, dice la cortigiana al dignitario che si è perdutamente invaghito di lei, se passerai cento notti fuori dal mio uscio ad aspettare. Che ci sia vento, neve o bufera non importa. All’alba successiva alla centesima notte aprirò la porta e ti lascerò entrare. Il dignitario accetta senza esitare, è un prezzo dolce da pagare e l’amore rende leggera la fatica. Passa così una, dieci, cento notti seguendo scrupolosamente le istruzioni ricevute e senza mai lamentarsi, né con l’amata né dentro di sé. All’alba successiva alla centesima notte raccoglie tutte le sue cose e si allontana per sempre.

Si aprono con questo racconto zen i Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes, un libro delicato e sottile, ma anche inquietante. L’amore è un monologo interiore ossessivo, ci si innamora dell’amore più che dell’oggetto d’amore, l’attesa che consuma e distrugge (perché non squilla mai il telefono?) è l’essenza di questa pratica che è in fondo ascetica. Chi è innamorato dell’amore, alla fine, non vuole essere corrisposto. L’innamoramento deve restare un atto incompiuto.

Sarò vostra, sembra dire la Germania ai paesi mediterranei, se vi sottoporrete per lunghi anni a grandi sacrifici e, così facendo, dimostrerete la serietà delle vostre intenzioni. Faremo quanto ci è chiesto, rispondono imediterranei, anche se lo faremo a modo nostro, con molte tasse e poche riforme. Non ci lamenteremo mai, né con te Germania né dentro casa nostra. Poi un giorno, rimesso a posto il saldo delle partite correnti grazie a un crollo dei consumi e a un non disprezzabile aumento della competitività dell’export, arrivati quasi alla fine del percorso, stremati, infreddoliti e impoveriti, invece di entrare nel paradiso della mutualizzazione del debito e della futura unione dei trasferimenti ce ne andremo in silenzio e non ci faremo più vedere.

(Nella foto: Sakuran. Film di Mika Ninagawa. 2007. È la storia di una oiran, una cortigiana di alto rango.)
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