Bretton Woods ha avuto alti e bassi. Quando l'America ha abusato della sua facoltà di stampare dollari, come nel 1971, il sistema è andato in crisi, salvo tornare in vita con l'Asia, in modo ufficioso e flessibile, dopo la crisi del 1997.
Settanta anni di disavanzi con l'estero hanno ovviamente indebolito il dollaro, ma meno di quanto si potrebbe pensare. L'America ha infatti usato i soldi che le sono stati prestati nel tempo per comprare attività reali all'estero che si sono sistematicamente apprezzate. In questo modo, lungi dall'impoverirsi, è riuscita a vivere al di sopra delle sue possibilità e ad arricchirsi nello stesso tempo. Con buona pace dei moralisti.
In ogni caso, in questi settant'anni, il dollaro ha avuto anche cicli rialzisti di notevole durata e, in alcuni casi, di notevoli proporzioni. È vero, l'America non ha mai avuto il culto del dollaro forte e ha tradizionalmente preferito mantenerlo debole, ma ha anche dimostrato di tollerare senza troppi problemi i cicli di rialzo.
Oggi abbiamo un'America che dista ormai pochi mesi dalla piena occupazione, mentre tre quarti d'Europa, in stagnazione, non hanno nessuna prospettiva realistica di riassorbire in tempi brevi e medi le decine di milioni di disoccupati creati dalla Grande Recessione.
(Nella foto: L’americano White e Keynes furono i protagonisti della Conferenza di Bretton Woods)
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