Alla fine del 1946 la ripresa economica europea era già finita e il continente appariva sull'orlo del caos. Le nascenti democrazie popolari dell'est avviavano i loro piani quinquennali e il loro modello dirigista e statalista costituiva una forte tentazione anche a ovest. Nonostante Yalta avesse spartito le sfere d'influenza, la tenuta dell'ovest non era percepita come solida. Nessun investitore privato americano metteva i suoi capitali in Europa, anche perché chi l'aveva fatto dopo la Grande Guerra ne aveva mediamente persa la metà.
Il democratico
Truman dovette dunque faticare parecchio per convincere il Congresso, che nel frattempo era passato ai repubblicani, a stanziare 13 miliardi di dollari per il piano. Il senatore
Taft, capo dell'opposizione, era un isolazionista e propugnava il ritorno al pareggio di bilancio. Per convincerlo, Truman fece leva sui repubblicani della Commissione Esteri del Senato,
preoccupati per la minaccia comunista.
Solo il 17 per cento dei fondi del piano fu destinato direttamente agli investimenti, ma gli
investimenti erano il perno attorno a cui girava tutto il resto. Il piano ebbe anche una componente di condizionalità, ma mai punitiva. Per ogni dollaro del piano, i governi europei dovevano metterne un altro e affidarne la gestione agli Stati Uniti. Nel caso della Gran Bretagna il secondo dollaro fu speso per riacquistare titoli governativi sul mercato e diminuire il debito, negli altri paesi prevalsero gli investimenti e anche per questo la Gran Bretagna ebbe il tasso di crescita più basso di tutti durante la vita del piano.
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