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Il piano Marshall

Perché l'America continua a fare meglio dell'Europa


La quantificazione degli effetti del piano è dibattuta da decenni dagli storici. Per alcuni fu decisivo, per altri si limitò a dare un importante contributo a una ripresa che ci sarebbe stata comunque. Visto oggi, il valore del piano non fu nei dollari (il 3 per cento del Pil europeo) ma nell'organicità e solidità del suo disegno. Con 13 miliardi di finanziamenti diretti si sbloccarono quantità ben maggiori di fondi e di energie private europee e americane, si consolidò il quadro politico e sociale e si prepararono le basi dei miracoli economici degli anni successivi. Si avviò, in altre parole, un circolo virtuoso.

Sarebbe bello se l'Europa si volesse regalare oggi un nuovo Piano Marshall ed è scoraggiante che i pochi che ne parlano lo facciano sottovoce. C'è in tutti la consapevolezza che non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire e se il sordo è la Germania è inutile perdere tempo. Macron ci ha provato, ma quello che si vede al momento è solo l'ennesima riedizione della commedia in cui la Francia chiede 100, la Germania concede 10 e alla fine si fa 1 (ricordate il piano Juncker?).

Eppure un ripensamento strategico radicale del modello economico europeo andrà pure affrontato (e anche in tempi drammaticamente brevi) se si vuole evitare che le nuvole nere che si vanno formando nei nostri cieli diventino pioggia o tempesta. E del fatto che queste nuvole ci siano sembra essere consapevole la Bce, se all'ottimismo di facciata fa seguire, in maniera del tutto incoerente, un comportamento monetario sempre più giapponese (con tassi reali ormai proiettati su livelli ancora più negativi di quelli giapponesi fino al prossimo decennio).

L'Europa e la Cina, già dieci anni fa, avevano lo stesso problema, quello di avere sistemi economici basati sulle esportazioni. La dirigenza cinese, più intelligente, flessibile e illuminata, ha sempre avuto piena consapevolezza della fragilità di un modello di questo tipo, ha ancora tirato la corda per qualche anno per sistemare le sue cose e poi ha avviato un processo di ribilanciamento dalle esportazioni ai consumi che ha ridotto il suo surplus delle partite correnti a un modesto 1.2 per cento.

L'Europa, per contro, non si è mai posta il problema. Nell'ordinamento teologico eurotedesco il surplus fiscale e quello delle partite correnti sono la redenzione dal peccato originale ottenuta con il sudore della fronte del lavoro, della parsimonia e della competitività. Essendo bene in sé e non strumento di politica economica, i surplus non possono essere messi in discussione, soprattutto se, a farlo, sono immancabilmente soggetti viziosi che vorrebbero spendere di più. Il risultato è che il surplus corrente europeo, in rapporto al Pil, è il triplo di quello cinese.
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