Il problema è che, a metterlo in discussione adesso è Trump, che vuole imporre nuovi dazi alle auto tedesche e, in generale, ridurre drasticamente, con le buone o con le cattive, il
surplus europeo. L'Europa ha provato a reagire, prima con il disprezzo, che non è servito a niente, e poi studiando dazi da imporre come ritorsione all'America. È un terreno pericoloso perché l'America, paese importatore, può sopportare l'escalation molto meglio dell'Europa.
La
guerra commerciale cade oltretutto in un momento politicamente molto delicato. Le forze antisistema stanno raggiungendo una forza elettorale che in certi casi è perfino superiore a quella del comunismo nell'immediato dopoguerra. Il colpo alla crescita che deriverebbe da una caduta dell'export europeo (che ora risente anche delle barriere alzate dalla Cina) rafforzerebbe ulteriormente queste forze.
Che fare allora? Rilanciare i consumi interni? Si può fare, ma non sarebbe la soluzione ottimale. Meglio allora rilanciare gli investimenti, ovviamente in deficit. Un Piano Marshall che l'Europa regala a se stessa.
Riuscirà la Germania a superare i suoi tabù? Probabilmente sì, ma bisognerà purtroppo aspettare che l'acqua le salga alla gola, che la crescita cali e che nuove elezioni eleggano al Bundestag una maggioranza diversa.
Nell'attesa le borse europee continueranno a comportarsi meno bene di quella americana anche se l'euro rimarrà debole. E d'altra parte non dobbiamo augurarci che il dollaro si rafforzi ulteriormente, altrimenti la pressione congiunta del dollaro forte, dei tassi in aumento e degli utili che fra qualche mese cominceranno ad appiattirsi rischierà di mettere in difficoltà anche l'America, il sostegno al quale siamo tutti aggrappati.
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