Trump, dal canto suo, ha buone ragioni per guardare con qualche ottimismo alla rielezione.
Ha compattato la sua base e conquistato il partito repubblicano, si è rafforzato al Senato (e quindi, attraverso il meccanismo delle nomine, nella magistratura) e non teme, anzi si augura, che la nuova camera bassa democratica si consumi nei prossimi due anni in una guerriglia sterile contro di lui.
Se ci siamo dilungati sul quadro politico americano, oggi meno preoccupante di una settimana fa, è per due ragioni.

La prima è che se è vero che il 2019-20 saranno anni difficili per i mercati, c'era una sola ragione per dubitare che il periodo successivo, la prima metà degli anni Venti, non avrebbe potuto vedere una ripresa del grande rialzo azionario degli anni Dieci, e questa ragione, una Casa Bianca socialista, appare oggi più lontana.
La seconda ragione è che di fronte a un'
Europa in crisi di identità e a un euro sempre più malfermo, l'America e il dollaro offrono una buona alternativa, magari sopravvalutata ma comunque, nel tempo, capace di preservare il capitale. Se però la prospettiva americana fosse stata leggibile solo fino al 2020 e se dopo quella data avesse continuato a esserci un grosso punto interrogativo, passare dall'Europa all'America sarebbe stato inutile e addirittura rischioso.
Le considerazioni fatte fin qui aprono la strada a una
continuazione del recupero azionario nei prossimi due mesi. L'inflazione è in un momento di calma, il petrolio è debole e la Fed se, come probabile, alzerà i tassi a dicembre, potrà permettersi di mostrarsi tranquilla e rassicurante. Se poi davvero vedremo un poco di riaccelerazione nella crescita europea e se dall'incontro tra Trump e Xi uscirà l'idea di una tregua anche breve nella guerra commerciale, non sarà così difficile tornare a vedere la borsa americana vicina ai suoi massimi e quelle europee dimezzare le perdite di quest'anno.
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